Da mezzanotte del 31 Dicembre 2020, la Gran Bretagna ha cessato, dopo mesi di trattative, di essere uno stato membro dell’Unione europea. Importanti cambiamenti nei prossimi mesi sconvolgeranno settori quali il turismo, il lavoro, lo studio, il commercio.
Se Brexit rappresenta un’occasione persa sotto diversi punti di vista, riesce ancor più amaro digerire l’idea che metta fine a una risorsa fondamentale quale è stato e continua ad essere per tante generazioni di studenti il programma di scambio europeo. La sostituzione di Erasmus con “Alan Turing” comporterà un aumento sostanziale dei costi per studiare nel Regno Unito e andrà a vantaggio di realtà internazionali e dinamiche che sappiano offrire una valida alternativa. Milano ha pertanto una grande opportunità.
Da anni ormai prestigiose università inglesi quali Oxford, Cambridge, London School of Economics contribuiscono a creare e formare una solida classe dirigente e a generare un elevato livello di ricerca. Favorendo la circolazione di nuove idee offrono un punto di riferimento per numerosi studenti internazionali. Brexit, tuttavia, ha ufficialmente sancito l’uscita del Regno Unito dal programma Erasmus. Da quando è stato fondato nel 1987, il programma europeo di scambio ha costituito un faro per le esperienze di studio all’estero degli oltre 5 milioni di studenti che vi hanno partecipato. Attualmente si stima che gli studenti europei in Gran Bretagna siano circa 150 mila. Considerando che ogni anno quasi 400 mila persone tra studenti, insegnati e altro personale prendono parte a Erasmus, ci rendiamo conto del ruolo fondamentale che ha avuto l’UK nella storia del progetto europeo. Non a caso Michel Barnier, capo negoziatore dell’Unione Europea per la Brexit, si è detto molto rammaricato dalla scelta del governo britannico di rinunciare al programma. D’altro canto, Universities UK, l’organizzazione che rappresenta le università del Regno Unito, ha indicato come l’adesione a Erasmus valga 243 milioni di sterline per l’economia inglese. Una perdita considerevole anche per i nostri amici d’oltremanica, che in egual misura hanno beneficiato dell’iniziativa negli anni.
Due studi indipendenti pubblicati dalla Commissione europea all’inizio del 2020 hanno dimostrato che il programma Erasmus+ ha rappresentato una svolta significativa per molti studenti, migliorando la loro vita personale e professionale e permettendo di rendere le università di molti paesi più all’avanguardia. Secondo l’Ue, inoltre, i risultati mostrano come Erasmus+ abbia dato un contributo chiave nel preparare i giovani europei alla nuova era digitale. L’80% degli studenti Erasmus ha trovato un lavoro entro tre mesi dalla laurea e più del 90% sostiene che l’esperienza ha contribuito a migliorare la capacità di lavorare e collaborare con persone di culture diverse. Non possiamo poi dimenticare di evidenziare come Erasmus abbia giocato un ruolo di primo ordine nel favorire il processo di integrazione europea e nella creazione di una “identità” comune.
Erasmus+ verrà sostituito nel Regno Unito con uno schema da 100 milioni di sterline, il programma di mobilità “Alan Turing”, dietro il quale molto probabilmente si cela una nostalgica fantasia per la “Global Britain” di un tempo. In sostanza, migliaia di studenti europei perderanno la possibilità di accedere a borse di studio che rendevano le esperienze nel Regno Unito molto più accessibili. Le rette per gli studenti internazionali, tra i quali ormai noi tutti rientreremo, subiranno un forte rialzo (circa il doppio di quanto si paghi ora) e per questo si prevede una riduzione della partecipazione a iniziative di scambio con l’Europa.
Brexit sancisce la fine di un’epoca anche dal punto di vista della prospettiva educativa. Ma dato che ogni crisi costituisce un’opportunità, non considerare la possibilità di supplire alla mancanza di offerta apertasi attraverso i nostri atenei sarebbe un grave errore. Gli studenti continuano a valutare l’esperienza all’estero come un valore aggiunto della loro vita da un punto di vista personale e professionale. Una città come Milano, che in Italia si mette in luce per la sua dinamicità e intraprendenza, avrebbe moltissimo da guadagnare soprattutto se teniamo conto della ricca scelta di università e facoltà che presenta. Per questo motivo sviluppare la visione di Milano come fulcro della ricerca e della promozione di cultura, oltre che di locomotiva economica del Paese, potrebbe risultare determinante nell’attirare sempre più giovani studenti in cerca di prospettive ed esperienze all’estero. Investire nell’offerta formativa degli atenei milanesi, nella loro internazionalizzazione e nella capacità di offrire occasioni di crescita in un contesto sempre più multiculturale ed europeo, avrà un peso strategico che tanto potrebbe avvantaggiare la nostra città.
Guglielmo De Puppi