L’opinione generale è che in Italia le pene per chi delinque siano toppo miti e che i colpevoli in un modo o nell’altro non vadano mai in carcere.
Un’altra convinzione incrollabile, stavolta di dimensione globale, consiste nel credere che le cosiddette “prove scientifiche”, come il test del DNA o la comparazione delle impronte digitali, siano prove inconfutabili.
Quando leggiamo sui giornali che la polizia ha trovato l’impronta digitale dell’indagato sull’arma del delitto, pensiamo: “caso risolto”.
Dovettero pensarla così anche tanti americani quando l’FBI annunciò che le impronte digitali di Brandon Mayfield erano state trovate sulla valigia che conteneva il detonatore della bomba che provocò la famigerata “strage di Madrid” l’11 Marzo 2004 rivendicata da Al-Qaeda.
Brandon Mayfield negò ogni coinvolgimento, ma non aveva un alibi e da 3 anni era stato inserito in una lista di cittadini ritenuti potenzialmente pericolosi per radicalizzazione islamica. Cercò allora di difendersi proponendo di ripetere il test delle impronte digitali.
La richiesta fu accolta, l’esame fu ripetuto, e gli americani dovettero convincersi che Mayfield fosse proprio coinvolto nella strage poiché il pool di 5 esperti che eseguì il secondo test, confermò che quelle impronte erano proprio di Brandon Mayfield.
L’effetto sorpresa dev’essere stato travolgente quando, pur essendo stato inchiodato due volte dall’esame delle impronte digitali, si è scoperto che in effetti Mayfield era estraneo ai fatti.
Secondo la polizia spagnola infatti, le impronte digitali sulla valigia che conteneva il detonatore appartenevano a un soggetto arrestato nella notte di nome Ohunane Dahoud.
E’ quindi inconfutabile l’esame delle impronte digitali? Può parlarsi di “caso chiuso” quando sentiamo che l’impronta del sospetto è stata rinvenuta sull’arma del delitto?
Nel caso in questione Mayfield fu scarcerato, con tanto di scuse e due milioni di dollari.
Vale la pena allora di raccontare l’esperimento condotto da due medici legali negli USA sul DNA. Secondo alcuni esperti infatti, quando un medico legale esamina un’impronta o un filamento di DNA, fatica a resistere ai condizionamenti esterni.
Con l’esperimento pubblicato su “Science and Justice” nel 2011, Itiel Dror e Greg Hampikian, hanno dimostrato euristicamente che in effetti, un medico legale con informazioni sull’indagine sarà influenzato nello svolgimento del suo lavoro.
L’esperimento dei due esperti di medicina legale ha coinvolto altri 34 esperti di DNA, inconsapevoli di partecipare ad un esperimento.
17 di questi esperti hanno ricevuto il DNA dell’indagato, un segmento di DNA da comparare, e il fascicolo delle indagini. Il fascicolo delle indagini era carico di indizi molto pesanti contro l’indagato, tra cui un alibi inconfutabilmente falso. Di questi 17 esperti, 9 hanno ritenuto che il DNA da comparare coincidesse con il DNA dell’imputato. Avevano sbagliato tutti e 9, cioè più della metà. Perché il DNA dell’indagato era in realtà il DNA del dott. Dror, e quello da comparare era il DNA del dott. Hampikian.
Gli altri 17 esperti hanno ricevuto solo il DNA dell’indagato, e il DNA da comparare. Nessuna informazione sulle indagini è stata loro comunicata.
12 di loro hanno escluso che il DNA da comparare fosse dell’indagato, 4 hanno dichiarato di non poter né escludere né confermare, e solo 1 ha rilevato che il DNA da comparare fosse il DNA dell’indagato. Il tasso di errore per gli esami svolti in assenza di informazioni è stato estremamente basso, inferiore al 10%. Al contrario, i medici legali che hanno svolto l’esame conoscendo informazioni sul fascicolo, hanno prodotto un tasso di errori superiore al 50%. E le riviste di medicina legale anglosassoni sono colme di esprimenti del generale, potrei citarne almeno altri 10, con esiti da far accapponare la pelle.
Capito la dimensione del problema?
Siamo ancora così sicuri che in Italia nessuno vada in carcere? E se vi dicessi che sono certo che in carcere ci finiscono pure gli innocenti?
Andrea Bonetti