“Corte d’Assise”, di George Simenon, edito da Adelphi, 18€, è un romanzo breve e di facile lettura, ma allo stesso tempo un colpo allo stomaco, fulmineo e confondente. E’ una storia di crimine che lascia stralunati a causa dell’infinità di malintesi disseminati lungo la trama, e che portano infine a una sola conclusione: “è tutto sbagliato”. Per dirlo in una parola sola: “ingiusto”. Ingiusto eppure così apparentemente perfetto. Intoccabile. Sì perché è la storia di un approfittatore. O meglio, a livello criminale il protagonista si pone a metà tra il truffatore e il circuitore, con il vezzo per le rapine. Esperto del raggiro e dell’artifizio, Louis Bert vive di profitti ingiusti, alcuni conquistati con veloci raggiri (delle vere e proprie truffe), o intrattenendo la folla di un ufficio postale con i suoi artifizi mentre i complici compiono una rapina, altre volte presentandosi per quello che non è, rubando il cuore di una donna e spillandole fino all’ultimo centesimo (un circuitore, appunto). Come un vero circuitore Bert si muove con così tanta spregiudicatezza, arroganza e sicurezza di sé, da mettere in difficoltà altri criminali con le sue mezze verità e false rappresentazioni, conducendo il lettore a desiderare che egli paghi per ogni malefatta e finisca dietro alle sbarre per sempre. D’altro canto, non sarebbe questo il lieto fine per una simile storia? Bert è infatti un cattivo senza attenuanti e le cui malefatte conducono persino all’omicidio della donna circuita: uccisa da quei criminali in difficoltà a causa di Bert, che non trovando la fonte dei loro mali si scagliano sulla prima vittima sotto tiro. Ma è proprio qui che il confine tra giusto e sbagliato si fa opaco. Trovando il cadavere della donna, infatti, la polizia arresta Bert e lo processa per un omicidio che non ha mai commesso. E nonostante l’innocenza, egli ha molte difficoltà nello scagionarsi, perché tutti i suoi alibi coinvolgono altri criminali e dunque quello che potrebbe assolverlo dall’accusa di omicidio lo condannerebbe comunque al carcere. Da che parte stare quindi? Assolvere Bert da tutte le sue malefatte, perché di fatto non ha materialmente commesso l’omicidio, oppure condannarlo perché il suo comportamento spregiudicato ha provocato la morte di un’innocente? In quest’ultimo caso, però, a farla franca sarebbero gli uccisori materiali della donna. In questo scenario l’assoluzione o la condanna di Bert fungono da facce della stessa medaglia: quella dell’ingiustizia. E un processo penale non prevede una terza via. Per quel che mi riguarda, ho scelto il volto del garantismo. Ho sperato, col fiato in gola, fino all’ultima pagina, nell’assoluzione di Bert. Ma per conoscere la sua sorte dovrete leggere il libro. E l’invito che vi faccio è quello di domandarvi se tale enigma non sia forse più attuale oggi, rispetto a quando fu scritto il libro, nel 1937.
Andrea Bonetti