L’unicità dell’essere umano è tale da non trovar pari nell’universo conosciuto. D’altronde, e per quanto la tecnologia avanzi e con essa la possibilità di esplorare lo Spazio, non c’è ancora stato possibile trovare altre forme di vita complessa come la nostra, la quale deve la sua esistenza alla Terra e nello specifico a quella parte chiamata biosfera. Quella stessa striscia di mondo nella quale non facciamo altro che immettere gas climalteranti, sfidando quell’equilibrio unico e oggi precario al quale dobbiamo la nostra stessa esistenza; dopo tutto la Terra sopravviverà all’essere umano, come ha già fatto in passato. Ed è per questo che prima a Roma, col G20, e poi a Glasgow, con la Cop26, si sono riuniti i leader mondiali, nel tentativo di serrare i ranghi e stabilire la rotta per salvare non un singolo Stato, ma la nostra stessa specie.
Ed è per questo che da più di due settimane che ascoltiamo gli appelli sulla salute del Pianeta, le grida di protesta dai gruppi di giovani che rischiano di ereditare un mondo per lo più inabitabile e infine le parole di fuoco come quelle del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: “siamo sull’orlo dell’abisso e ci stiamo muovendo nella direzione sbagliata”. E a questi segnali d’allarme si contrappongono quelli di chi vede il bicchiere mezzo pieno e, come Carlo Stagnaro, dalle pagine del Foglio, elogia le azioni intraprese sin qui per contenere il riscaldamento globale e guarda con ottimismo al futuro. Sembra di essere tornati agli anni ’90, quando da una parte c’era la comunità scientifica (per la cronaca, la stessa che ha creato i vaccini contro il Covid-19), che dimostrava i danni prodotti dal fumo delle sigarette, mentre dall’altra i produttori delle stesse che affermavano l’insensatezza di tali drammatiche conclusioni. “Il cancro ai polmoni? Non è certo causato dal fumo!”. Ed oggi va in scena lo stesso identico copione, con la differenza che rischiamo di essere gli ultimi ad interpretarlo.
Guardiamo quindi i dati, e non la retorica, né la speranza che le tecnologie ci possano salvare (come affermato anche da Draghi) e guardiamo ai fatti. Di recente l’Ispi, che non è certo un luogo frequentato da Greta Thunberg, ha pubblicato un lungo fact cheking sui cambiamenti climatici che vale la pena riprendere. Gli autori dell’articolo, Ruben David e Alberto Guidi, smontano alcuni dei luoghi comuni di chi vede il bicchiere mezzo pieno, come ad esempio, il fatto che sia falso dire che gli sforzi fatti sino ad oggi per contenere i gas serra abbiano sortito l’effetto sperato. Oppure, che da Kyoto in avanti si sia emessa meno C02, quando in realtà negli ultimi trent’anni ne è stata prodotta di più che negli ultimi 200. Ma soprattutto che la colpa sia da scaricare su Cina e India, magari fosse così facile pulirsi la coscienza. È vero che la Cina è il più grande inquinatore del mondo d’oggi, col suo 28% di emissioni di CO2, ma è pur vero che la quota pro-capite di emissioni sia nettamente più bassa di quella americana (pari al 15,5%) e quasi uguale a quella europea (7,2%). Senza considerare poi, che quasi tutti i prodotti acquistati dai Paese Occidentali, dagli smartphone alle terre rare per le auto elettriche, provengono dalla Cina, che negli anni è diventata la fabbrica del mondo. E proprio per questo, sostenere di essere responsabili solo di 8% delle emissioni di CO2 globali, delocalizzandone l’emissione dall’altra parte del mondo ed accusandolo poi di inquinare troppo, è da ipocriti, come siamo noi europei: prendiamo ciò che ci serve per mantenere l’attuale livello di benessere da altrove, come i farmaci in India, il gas dalla Russia, il petrolio dai Paesi Arabi ed americani (tout court) e moltissimo dalla Cina, per consolarci degli impegni presi per contenere il clima e che ciclicamente tradiamo, dando un ulteriore calcio ai problemi ambientali.
Un esempio? Che fine hanno fatto i 100 miliardi promessi ai Paesi colpiti dai cambiamenti climatici? Che cosa ne è stato del progetto di interrompere la deforestazione? Impegni e parole che dovevano essere rispettati, rispettivamente, nel 2014 e 2009, ed oggi posticipati al 2023 e 2030. Quante bugie sono state dette e ancora si stanno dicendo per evitare di cambiare, cosa che oggi è indubbiamente più difficile da fare, ma perché si è perso tempo e si è presa in giro l’opinione pubblica e la comunità scientifica. Ma prendiamo l’elogio di Stagnaro e analizziamone alcuni passaggi. L’autore sostiene che “gli ultimi dati rilevano che abbiamo pesantemente sottostimato gli assorbimenti di CO2 da parte del suolo. Tenendo conto delle informazioni più recenti, si scopre che le emissioni complessive negli ultimi dieci anni non sono cresciute”. Peccato che un’inchiesta del Washington Post dica l’esatto contrario e riveli come molti Paesi del mondo sottostimino la loro emissione di gas serra proprio facendo appello alle proprietà “miracolose” del proprio sottosuolo, tanto che si pensa non siano dichiarate tra le 8,5 le 13,3 miliardi di tonnellate all’anno di CO2. Stagnaro come il Foglio, giocano la loro partita, però i dati, dicono altro. Quando si afferma “perfino Paesi più restii – come l’Arabia Saudita e altre nazioni ricche di petrolio, che hanno sistemi energetici estremamente inefficienti – hanno fatto delle aperture”, si è consapevoli o no che dell’International Energy Agency ha rilevato emissioni di metano difformi rispetto a quelle che questi Paesi dichiarano? Ed ancora, quando si sostiene che “tra il 1990 e il 2019 il pil globale è cresciuto, in termini reali, del 75%. Le emissioni del CO2 sono aumentate solo del 10%” quali dati si stanno analizzando? Perché l’Ispi dice che nello stesso periodo le emissioni di CO2 sono cresciute ben più del 10%. Il resto dell’articolo, dai tabù da abbattere all’utilità del gas, anch’esso un combustibile fossile, e del nucleare, per la quale l’Edf francese ha investito oltre 2 milioni di Euro per in attività di lobbying a Bruxelles, si commentano da sole. Dopo tutto la Francia dipende al 71% dalla produzione energetica fornita dalle centrali atomiche, mentre l’Italia sfrutta il gas per il 41%, tant’è che non sorprende come entrambi questi Paesi vogliano inserire queste fonti d’energia nella tassonomia verde europea. Ma dobbiamo domandarci se sia sensato o meno, non solo conveniente.
Sulla questione della ricetta Mazzucato, invece, la discussione è, ancora una volta, più complessa di come viene ridotta da Stagnaro. La Voce, ad esempio, ha sì ripreso le parole del Nobel Giorgio Parisi, che sulla bontà del valore del Pil e sul concetto di uno sviluppo tendente all’infinito e sempre in rialzo nutre più di un dubbio, ma ha anche evidenziato come una maggiore crescita abbia sostenuto iniziative di riequilibrio dell’ambiente. Ed è forse questa la morale: basta giudizi trancianti e lucide illusioni, perché il mondo è complesso. Il gioco dei dati, se privati del contesto e gettati qua e là per rassicurare i più che il problema dei cambiamenti climatici si diriga verso una risoluzione, è facile, ma ingannevole. Gli impegni presi al G20 di Roma, così come a Glasgow, non saranno di certo gli ultimi, né risolutivi, ma è su di essi che le future generazioni valuteranno la politica e la credibilità delle attuali istituzioni; e, per ora, l’immagine che ne sta uscendo è discutibile.
di Claudio Dolci