Quasi la metà del popolo italiano è indifferente al fatto che al governo del Paese ci sia una democrazia o una dittatura. Il sessanta per cento pensa che l’Italia abbia bisogno di essere guidata da un “uomo forte”, e più di un terzo sosterrebbe apertamente una dittatura… ma più del settanta per cento riconosce che la democrazia è la migliore forma di governo! Questi dati così contraddittori (fino a un certo punto) emergono da un sondaggio di opinioni pubblicato qualche giorno fa su L’Espresso. Ampi strati di opinione pubblica sembrano plaudire alla proposta del centrodestra di una repubblica presidenziale, qualcosa di nuovo nel panorama stagnante di una politica inconcludente in cui non esistono più i partiti né le ideologie che li sostenevano. Il desiderio di un “uomo forte” che risolva magicamente i problemi dell’Italia si fa sempre più insistente, almeno è quello che ci riportano i media. Già la scelta e l’operato di Draghi rimandano al mitico “deus ex machina” che nelle tragedie e nelle commedie antiche risolveva l’intreccio di una trama da cui a volte l’autore sembrava non saper uscire. D’altra parte, che altro si poteva fare di fronte a una classe politica in stallo per i veti reciproci e di fronte all’emergenza della pandemia? Mattarella non aveva scelta. Certo, non potevamo andare a votare dopo due anni e mezzo e due governi dalle opposte maggioranze, con la quasi certezza di riprodurre i voti e i seggi del 2018, quando i tre principali partiti erano inchiodati tra il venti e il trenta per cento, senza la volontà di costruire alcuna maggioranza parlamentare. Dunque, emergenza!
Ora, sembra che gli italiani siano – che novità – stanchi dei partiti, delle chiacchiere, dei talk show fatti di litigi e male parole, dei pastoni televisivi fatti di “battute” dietro le quali si capisce che non c’è più né un’idea né un’ideologia (ahimè!). E come vorrebbero risolvere i problemi gli italiani? Con una dittatura? O con una repubblica presidenziale in cui il presidente sia però eletto dal popolo? Sotto sotto, c’è il fastidio per la complessità di una democrazia parlamentare, per i tempi lunghi dei compromessi, della politica. In fondo, l’uomo solo al comando è più efficace, decide senza perder tempo in discussioni, confronti, senza compromessi. Il paradosso è che stando al sondaggio de L’Espresso i sostenitori di queste “democrazie rafforzate” si annidano tra quelli che non vanno a votare, cioè gli astenuti di professione, e tra quei tipi no-qualcosa che sbraitano tutti i maledetti sabati contro la “dittatura sanitaria”.
Forse i nostri cari compatrioti italiani non hanno ben chiaro cosa sia davvero una dittatura. Né come ci si arrivi, guardando agli esempi storici. Non è sempre il risultato di un colpo di stato sanguinoso, come nel 1973 (un altro maledetto 11 settembre!), quando i militari cileni rovesciarono il presidente Allende, eletto democraticamente. Mussolini e Hitler furono prima eletti dal popolo, che ne votò i parlamentari alle Camere (certo, tra molti condizionamenti e violenze delle loro milizie paramilitari), e poi si rivoltarono abrogando le leggi costituzionali e sciogliendo i Parlamenti. Le dittature, quando arrivano arrivano! Gli strumenti sono tanti. Una sola cosa hanno in comune, tutte: odiano la libertà, e chi si ribella finisce male, in carcere o morto. Odiano le minoranze, per lo più quelle “diverse”. Hitler odiava gli omosessuali, gli zingari, le “razze inferiori”, i comunisti, e – ovviamente – gli ebrei. Stalin odiava i capitalisti e gli “agenti della reazione”. Le dittature odiano che si parli male di loro, quindi la prima cosa che fanno è impadronirsi delle televisioni e delle radio “di Stato”, ragion per cui oggi in Occidente una dittatura, men che meno militare, sembra difficile da vedere. Come farebbero con le reti private? Infine, creano tribunali speciali, procedure veloci per far finta di processare i nemici “del popolo”, e trasformano gli stadi in prigioni e luoghi di tortura. Così è stato in Cile, in Argentina a fine anni ‘70, in Brasile a fine anni ‘60, nella Grecia dei “colonnelli” tra il 1967 e il 1975, nella Spagna di Francisco Franco fino al 1975, in Portogallo fino alla “rivoluzione dei garofani” del 1975. Non c’è ragione di pensare che oggi non sarebbe lo stesso. Nonostante la tecnologia, nonostante Internet, Facebook e Twitter. O forse grazie a loro? Meglio non verificare.
Comunque non c’è niente da fare. La Storia non insegna nulla. Si studia poco e male, ed è messa in discussione ogni giorno, anche dagli stessi storici (d’altra parte, come nelle scienze, non c’è mai una verità assoluta, tutto si modifica nel tempo… ma è un concetto difficile e pericoloso se non maneggiato con cura). Il risultato di questa perenne incertezza, tratto distintivo della modernità, è che se una cosa non la si è vissuta personalmente, non esiste. Così non esiste il COVID finché uno non viene colpito personalmente, non esistono le guerre e le sofferenze degli altri (i migranti, i teatri di guerra nel mondo…) finché non si vedono con i propri occhi, non si toccano con mano. Perfino l’uomo sulla Luna. Chi l’ha detto? Tu l’hai visto? Eri lì sulla Luna? E chi l’ha detto che la Terra non è piatta? Ci sono scienziati che dicono sferica, altri che dicono piatta. E allora? È l’effetto Internet, e soprattutto “social media” (nipoti delle radio e delle tv libere degli anni Ottanta): più abbondano le fonti dì informazione, più le notizie vengono “disintermediate”. Ognuno si crea il proprio telegiornale… ma alla fine il dubbio si installa. Sarà vero tutto quello che leggo? Chissà.
E così, è tutto vero e tutto falso. Si vuole la democrazia, ma anche una simpatica dittatura, per dare una bella raddrizzata a questo Paese! In fondo, che differenza c’è? Come diceva Mao-Tze Tung (se ancora si scrive così…), non importa di che colore è il gatto. Basta che acchiappi il topo.
Raffaele Raja