Germania anno Zero?

Chi l’avrebbe mai detto che i Verdi tedeschi, quelli più intransigenti, sarebbero stati neutrali sull’opzione nucleare per l’energia del futuro? Quando sei Stati membri dell’Unione Europea si sono dichiarati assolutamente contrari a mantenere e sviluppare l’energia nucleare come futura “energia pulita”, e sei altri Stati l’hanno invece appoggiata senza riserve, proprio la Germania si è schierata tra gli astenuti, i neutrali, o gli incerti. Come l’Italia, che ancora non ha rivelato la propria posizione, in attesa di capire quale presidente della Repubblica uscirà dalla roulette di fine gennaio e quale governo succederà a quello attuale.

Una Germania astenuta sul nucleare è qualcosa di mai visto, per un governo appena costituito (forse proprio per questo), un inedito governo “semaforo” formato da Verdi, Socialdemocratici e Liberali (forse proprio per questo), un governo – per la prima volta da vent’anni a questa parte – guidato da un cancelliere diverso da Angela Merkel (forse proprio per questo). Oggetto del contendere, il documento della Commissione europea sulla “tassonomia” delle energie sostenibili e “di transizione”, a cui affidare il compito improbo di tagliare le emissioni di CO2 del 55 per cento entro il 2030, e di portare a compimento entro il 2050 la transizione ecologica ed energetica prevista negli obiettivi dell’Unione Europea per contrastare il cambiamento climatico (la c.d. “neutralità climatica”).

Sembrava questa la sfida del secolo, la grande minaccia a cui l’Europa aveva deciso di dedicare tutte le sue energie nel 2019, varando la nuova Commissione con una presidente tedesca, Ursula Von der Leyen, creatura politica di Angela Merkel. Poi il 2020 ha portato in casa europea un’altra minaccia, imprevista e ben più urgente, la pandemia del COVID-19, e la Germania ha vacillato sotto i colpi del virus più sconosciuto e imprevedibile degli ultimi cento anni. Il governo Merkel ha avuto fortuna all’inizio, perché l’epidemia era dilagata prima in Italia, dando ai tedeschi tutto il tempo per capire, ragionare, alzare le sue difese dietro un sistema sanitario pubblico efficiente e sovradimensionato. Poi le ondate successive hanno dimostrato quanto la Germania fosse in realtà indifesa più o meno come l’Italia. Divisa tra competenze del governo federale (poche) e poteri e competenze dei Laender, le Regioni (tante). Divisa tra No-Vax e fautori dei vaccini, ben più che l’Italia (a dicembre 2021 risultava vaccinato il 70 per cento della popolazione adulta, contro l’86 per cento dell’Italia). Al punto che in uno dei suoi ultimi discorsi, la Merkel si è fatta sfuggire che per il suo Paese avrebbe preferito di gran lunga la situazione italiana. Anche questo, mai visto prima.

Cosa succede alla grande Germania? Una cosa molto semplice: è un grande Paese dell’Unione Europea, dell’Occidente, una grande e solida democrazia. Come tale, patisce i malanni di tutti i Paesi democratici occidentali di questi tempi: una crescente spinta populista, una crescente difficoltà a formare governi “maggioritari” (da vent’anni sperimenta “grandi coalizioni” tra opposti, ora siamo all’inedito “semaforo” con forze tra loro conflittuali come i Liberali e i Verdi), una crescente riduzione del peso dei partiti tradizionali e una crescente frammentazione del sistema democratico. Così, tutte le decisioni sono difficili, sofferte, si riflettono e si rifletteranno sul ruolo della Germania nell’Unione e nel mondo. Cosa risponderà la Germania alla pressante richiesta francese sulla difesa europea, ora che è iniziata la sua presidenza di turno dell’Unione? Si trincererà dietro l’ombrello NATO, eludendo il problema? O dirà apertamente no – Dio non voglia ci fosse qualche problema in Ucraina – ribadendo il suo rifiuto di imbracciare le armi o di mandare i suoi ragazzi a “morire per il Donbass”? La sua Costituzione la sostiene in questa pericolosa neutralità, non solo perché l’Ucraina non appartiene (ancora) alla NATO, ma anche perché formalmente la Germania può solo difendersi, e non mandare truppe fuori del suo territorio. Una situazione simile a quella del Giappone, dove ora stanno pensando di rivedere la Costituzione per armarsi in funzione anti-cinese. La Germania però non vede ragioni di cambiare, per il momento. Quindi, no alla difesa comune europea.

E poi, ha già detto no alla riforma del patto di stabilità, accontentando le spinte rigoriste dei Liberali, quando Macron e Draghi hanno diffuso una lettera aperta a firma congiunta sulla necessità di cambiare il destino dell’Unione, partendo proprio dalla riforma del patto di stabilità, rinunciando a ogni politica di austerità e ipotizzando un bilancio davvero europeo. Ha detto no perché non vuole prendere posizione, per ora. E non è pensabile che Macron e Draghi non abbiano consultato il neo-cancelliere Scholz, non esiste che Macron rinunci al primato dell’asse franco-tedesco su cui si basa la costruzione europea. Quindi è vero quanto è stato dichiarato ufficialmente sui giornali, in merito alla posizione “neutrale” della Germania, e alla possibilità che per questo possa operare come mediatrice tra i “frugali” (tra i quali pare venuta meno l’Olanda) e i riformisti mediterranei.

Quanto giova all’Europa e ai suoi interessi una Germania “neutrale”? Se davvero il nuovo governo punta a una centralità su tutti i temi (un modo forbito per dire neutrale), questo può essere un mezzo per costruire il consenso tra tutti, su posizioni inevitabilmente di compromesso. Un consenso che costruisca unità, ed eviti le divisioni tra Stati europei. E’ quello che si è fatto per anni. Troppi anni, a giudizio dell’impaziente Macron e del “tecnico” Draghi. Per decenni l’Europa, dovendo procedere sempre con l’unanimità in Consiglio, cioè con il “consenso” di tutti, ha mediato, ha trovato compromessi, ha fatto passi piccoli, a volte impercettibili, ma sempre in una direzione, quella dei diritti, della libertà, della democrazia. Ora le sfide della geopolitica, da quelle vicine (la Russia in Ucraina e in Polonia) a quelle lontane (la Cina, gli USA, gli altri Paesi emergenti) e quelle della pandemia, cioè di un attacco generalizzato e incapace di distinguere tra Paese e Paese, impongono all’unione Europea un salto di qualità. La Germania sembra ferma – ma sono solo le prime mosse – e incapace di pensare in grande, di pensare con lungimiranza ai prossimi secoli. La Francia di Macron e forse l’Italia di Draghi sì, hanno l’idea di una strategia europea a lungo termine. Ma riusciranno a farla partire tra i mille ostacoli di questo 2022? Dovranno prima pensare alla loro sopravvivenza politica, come su un aereo in decompressione. Prima il boccaglio per sé stessi, poi si può pensare agli altri. Ma ci si dovrà arrivare, perché l’Europa non resti senza ossigeno.

Roberta Guardaboschi

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