Brexit: l’Europa in balia del suo destino

Un anno di abbandoni sta oggi ponendo l’Europa di fronte alle proprie paure e a quegli scheletri nell’armadio di cui ha fatto a meno per così tanto tempo da dimenticarsi persino della loro esistenza; eppure oggi sono tutti lì riuniti attorno a lei e pronti a chiedere il conto. In primis gli Stati Uniti di Biden, che a dispetto degli annunci proseguono sull’agenda isolazionista (o sarebbe meglio dire egemone-centrica) volta a tutelare principalmente gli interessi a stelle e strisce. Poi l’addio della Merkel, che nel bene e nel male ha guidato l’Europa attraverso  la Bundesbank e la sua capacità di dirigere con continuità politica la locomotiva dell’Unione. Ed infine si è concretizzato il divorzio dal Regno Unito, voluto per ragioni politiche (non certo economiche) e che nei fatti ha ucciso il mito della fondazione stessa dell’UE. Fu infatti a Yalta, nel ’45, che Churchill e Roosevelt capirono che l’unico modo per contenere le mire di Stalin era ricostruire il Vecchio Continente attraverso il piano Marshall e con esso rifondare il progetto europeo in chiave anglofona. Dopo tutto il Regno Unito aveva già convinto gli Stati Uniti a sbarcare in Sicilia per riconquistare il controllo del Mediterraneo e con esso del canale di Suez, con il quale ristabilire le rotte commerciali coi Paesi del Commonwealth. Churchill sapeva che il modo migliore per gestire la nuova UE era quello di riunire tutti i capi di stato attorno a una tavola rotonda e far pesare il suo peso geopolitico, decidendo praticamente su tutto. Il potere del Consiglio europeo nasce anche da quest’esigenza strategia, che non ha nulla a che vedere con la costruzione di una federazione tra Stati. Ed oggi, dopo il divorzio dal Regno Unito, l’UE si ritrova così con un sistema di regole voluto da altri, senza guida né protezione, mentre i britannici affrontano il mondo da soli. Il che vuol dire difendere la sterlina dall’inflazione, bilanciare i danni sull’import/export, salvaguardare gli interessi finanziari della City e far si che Irlanda e Scozia non intraprendano la via secessionista, il tutto durante la più grande pandemia dai tempi della spagnola. Comprendere che ne sarà del Regno Unito significa affrontare l’illusione che più di altre oggi blocca il progetto di un’Europa federale e autonoma rispetto alle strategie altrui, ovvero la presunzione di poter contare qualcosa da soli. Non siamo più nel ’45 e ci sono Paesi emergenti il cui peso specifico oggi conta di più rispetto a una monarchia secolare.

Claudio Dolci Roberto Biondini

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