Una processione di leader nazionali più o meno inginocchiati davanti a Putin? Una UE ancora una volta umiliata e senza una voce unica a esprimerne la politica estera? Dov’è l’Europa? Questi gli interrogativi di chi in questi giorni ha assistito a una sfilata dei maggiori leader europei al lungo tavolo di Putin. Prima Macron, poi Scholz, ora Draghi, mentre si incrociavano le riunioni tra ministri degli Esteri, da quella inglese al nostro Di Maio. Una sfilata che ha ottenuto qualche risultato nella contesa tra Usa-Nato e la Russia di Putin, a spese della (in)colpevole Ucraina? Può darsi. Dipende dal punto di vista, e ancora una volta, ragionando su come ne esce l’Unione Europea, la realtà è un po’ diversa da come appare.
È vero che tutti i sinceri europeisti avrebbero voluto che fosse Josep Borrell, Alto rappresentante UE, l’unico interlocutore degli Stati Uniti e della Russia nella questione Ucraina. Ma se tecnicamente l’iniziativa del presidente francese Macron si poteva ancora vendere come quella del presidente di turno della UE, cosa si poteva dire della successiva missione del cancelliere tedesco Scholz a Mosca? E di quella di Draghi di questi giorni? Eppure, secondo Politico Europe del 17 febbraio, la premier estone Kaja Kallas dice che è stato tutto concertato prima e dopo con gli altri partner europei. Che cioè si sono svolte riunioni e videoconferenze tra i leader “attivi” con quelli dei Paesi “passivi”, in modo che tutti in realtà fossero sempre informati e potessero dire la loro in ogni momento.
Se lo dice la leader estone, cioè di un Paese alla frontiera diretta con la Russia, parte di quegli Stati baltici che fino al 1991 erano repubbliche sovietiche, parte del territorio Urss, dobbiamo crederci. E se è così, la sfilata assume un altro aspetto. Un aspetto di cooperazione intergovernativa, piuttosto che comunitaria, per usare il linguaggio di Bruxelles. In altre parole, si è assistito a un esercizio di realismo. Di fronte a un Alto rappresentante che non rappresenta proprio nessuno perché non ne ha i poteri, e non è riconosciuto da nessuno al di fuori dei Paesi UE, gli Stati membri più esposti hanno preferito avallare e perfino promuovere le iniziative dei Paesi-guida della UE. La Francia, non solo perché presidente di turno del primo semestre 2022, ma perché resta, dopo la Brexit, l’unico Paese con l’arma atomica e delle forze armate degne di questo nome (e l’abitudine a usarle). La Germania, perché è il Paese più esposto al ricatto del gas russo (55% delle sue forniture vengono dalla Russia con i vari gasdotti North Stream), ma al contempo quello che garantisce gli introiti più cospicui a Rosneft e Gasprom, le due aziende di Stato russe dell’energia. Senza questi introiti, che ne sarebbe del Pil russo? E della facilità con la quale, con costi altissimi, tiene impegnate per settimane 190mila uomini alla frontiera dell’Ucraina?
E l’Italia? Vale per il nostro Paese lo stesso discorso della Germania. Il 45% delle nostre forniture di gas viene dalla Russia, per non parlare dell’interscambio commerciale e industriale, che vuole continuare a macinare profitti, guerra o non guerra. E che in caso di sanzioni proclamate dall’Occidente metterebbe noi in seria difficoltà, ma forse metterebbe più in difficoltà la Russia. I tre leader hanno dunque molto da dire in modo diretto e indiretto all’autocrate russo, e se riusciranno a contrattare una via d’uscita ragionevole per tutti, tanto meglio sarà.
Inutile insistere nel refrain “come ne esce l’Europa?”. Ne esce come la somma di ventisette Stati membri che non riusciranno facilmente a darsi una politica estera comune. L’unica strada è quella indicata dalla Francia (per cui continuo a pensare che si muova con l’idea napoleonica che la Francia è l’Europa e l’Europa è la Francia…), cioè che si proceda a uno “stralcio” dei Paesi più disponibili a una cooperazione rafforzata – secondo le modalità già previste dai Trattati – e quindi a costituire una forza armata comune, sotto una guida unitaria presso la Commissione europea (o una sua agenzia). A seguire, un bilancio comune, e una politica estera comune.
Se non sarà così, grazie al macigno-Germania a frenare ogni iniziativa per la intrinseca contraddittorietà del suo governo (e il rischio-Italia senza Draghi tra qualche mese), non avremo scampo nella conflittualità tra potenze continentali, di cui l’Ucraina è solo un antipasto. Dovremo aspettare altre emergenze per dare una scossa ai riottosi Stati membri della UE e fare un salto di qualità verso una vera Unione?
Raffaele Raja