Ucraina: una(altra)guerra in diretta tv? Morire per Kiev?             

La prima guerra del Golfo (Iraq 1990-1991) fu definita “la prima guerra del villaggio globale” perché per la prima volta i media di tutto il mondo, in testa la CNN, rete americana all news, trasmettevano le immagini della guerra in diretta. Miliardi di telespettatori di tutto il mondo assistevano 24 ore su 24 al cielo verdastro di Baghdad solcato dai traccianti della contraerea e dalle incursioni dei missili americani. I tempi della guerra si confrontarono per la prima volta nella storia con i tempi televisivi. La guerra doveva finire rapidamente, pena il crollo degli indici di ascolto. E gli americani ce la misero tutta per riuscire. Il rischio era non solo il crollo dell’audience, ma anche il montare delle proteste dei tanti (infiniti) anti-americani nel mondo, delle manifestazioni, dei boicottaggi perfino. E quindi delle rinunce degli alleati più riottosi, delle defezioni soprattutto nel mondo arabo.

Una guerra lunga è insostenibile, anche per motivi finanziari. Costa un occhio della testa, e ben pochi se la possono permettere. Per non parlare delle morti dei soldati americani – non sia mai in diretta tv! Cosa c’entra la guerra in Ucraina? C’entra, perché di questo anzitutto si tratterà. Di una guerra soprattutto mediatica, per di più al tempo dei social media: la velocità all’ennesima potenza. Ma non solo: aggiungete gli hackers, cioè la guerra informatica, gli haters, cioè la guerra sui social tra fazioni pro e contro Russia (un nuovo terreno di scontro per gli orfani del conflitto no-vax/ sì-vax?). Aggiungete le fake news, cioè la guerra dell’informazione e della post-verità, e il quadro è completo.

La dichiarazione di Putin di riconoscimento delle due province-repubbliche separatiste nel Donbass (due distretti in territorio ucraino) segna un punto di non ritorno. Ma, come era tradizione nell’Unione Sovietica, l’intervento militare russo viene addirittura presentato come “peacekeeping”, in soccorso dei fratelli russofoni del Donbass. Cioè la Russia è obbligata a intervenire per sostenere l’autodifesa delle province separatiste. Non un’invasione, ma un intervento umanitario, visto che le immagini delle televisioni russe mostrano migliaia di profughi che varcano la frontiera con la Russia per salvarsi dall’aggressore ucraino. Ecco rovesciarsi i termini della questione: chi è l’aggredito e chi l’aggressore? Ora i media e i social media semineranno il dubbio, nelle opinioni pubbliche occidentali, tradizionalmente pronte a marciare contro l’imperialismo USA, e molto meno disposte a farlo contro un simmetrico imperialismo russo o cinese (cosa credete stia aspettando Xi a riprendersi Taiwan se non vedere come reagiscono gli americani?).

Nella confusione mediatica generalizzata, sarà molto difficile avere un quadro obiettivo degli eventi reali. Anche gli inviati, i giornalisti sul campo, pur bravissimi, saranno per lo più embedded, cioè incorporati nell’uno o nell’altro schieramento. Sarà molto difficile, e comunque a rischio costante della vita, esercitare un giornalismo indipendente, al di sopra delle parti, per cui rischieremo che i media mainstream ci daranno solo pezzi di informazione. Saremo sommersi da dirette 24 ore su 24, e saremo quindi propensi a schierarci pro e contro i russi o la NATO. E la verità? Boh! La verità della cronaca è sempre una verità di parte, solo la Storia (con la S maiuscola) potrà ristabilire un equilibrio.

Resta un dato: Putin decide da solo, mentre le democrazie occidentali no. Putin è intriso della storia zarista e sovietica, ritiene di avere la missione di restaurare la grandezza storica della Russia. E sembra seguire in tutto e per tutto le scelte analoghe di Hitler per la nazione tedesca: mangiarsi l’Europa, a partire dall’Est, un pezzo alla volta. Dopo il discorso di un’ora di lunedì 21 febbraio in diretta tv, tutto questo è evidente. Ha attaccato la NATO come un pericolo costante per la Russia, sostenendo che in tutti i Paesi NATO ci sono missili e armi nucleari puntate contro la Russia, quindi i russi devono “difendersi” per garantirsi la sicurezza. L’Ucraina è il primo obiettivo per evitare che possa ospitare missili in grado di raggiungere Mosca in trenta secondi.

L’Europa, da parte sua, non è in grado di organizzarsi in autonomia, e assisterà inerme a quanto le tre grandi potenze decideranno. Ma salvo incidenti sempre possibili, l’Europa non sarà attaccata militarmente. Sarà presa per fame, perché resterà senza gas, senza luce, con risorse scarse, e prodotti da scambiarsi che mancheranno perché realizzati in Asia. L’unica soluzione nel breve sarà riconoscere a Putin i territori conquistati sul campo dai suoi carri armati. Cioè, ripetere Monaco 1938, sperando che non arrivi mai un altro settembre 1939.

A questo punto, che cosa potrebbe scatenare la terza guerra mondiale? Un incidente, vero o costruito ad hoc. Basta un proiettile di troppo, un missile sfuggito al controllo, magari tra navi russe e della NATO che si confrontano tutti i giorni nel Mediterraneo, e le reazioni potrebbero essere imprevedibili. Qualche commentatore ha già ricordato l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo nel 1914, altri il cosiddetto “incidente di Gleiwitz” del 31 agosto 1939. Riferendosi ai due “incidenti”, uno autentico, l’altro costruito, che dettero origine alle due guerre mondiali del secolo XX.

Raffaele Raja

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