L’ABC di Spazio

Tre settimane fa Dario Forti ci raccontava il passaggio dalla società della certezza a quella dell’incertezza e con esso l’inabissarsi di quell’arcipelago di illusioni dietro il quale per anni abbiamo nascosto le nostre paure più profonde, ora libere di interrogarci sul nostro modo di vivere. Già, perché non è affatto detto che si riuscirà a tornare a prima della pandemia, della guerra e della possibile crisi economica che seguirà questi due eventi. Ed è quindi giunto il momento di affrontare alcuni dei totem, ora privi della loro aura di sacralità, a noi più vicini, come quelli che per anni hanno sostenuto la politica milanese e l’immagine della città più cosmopolita e culturalmente feconda d’Italia, qual è Milano. Ad esempio, che impatto avrà l’attuale scenario geopolitico sul fenomeno della globalizzazione, da cui Milano ha negli anni saputo trarre la spinta propulsiva più dirompente per crescere? Che ne sarà delle catene del valore, di quella contaminazione tra saperi e convivenza tra poli d’eccellenza meneghini che ha trovato nello Human Technopole un simbolo? Raffaele Raja ha già avviato una prima riflessione sul tema ed altre la seguiranno, come gli incontri sul tema degli alloggi, troppo costosi e per questo incapaci di accogliere quei giovani di cui la città ha estremo bisogno per continuare il suo processo di omeostasi generativa. Il rischio oggi è infatti quello di consegnare alle future generazioni una Milano spenta, incapace di rinnovarsi poiché priva degli strumenti per accogliere chi ha la forza e la volontà per imprimere un nuovo moto al sistema cittadino. Rifletteremo inoltre sulla parola sicurezza, per anni consegnata alla propaganda dei partiti di destra, come se esistesse un diritto di prelazione su alcuni dei temi che riguardano la collettività: un altro totem ideologico del passato. Oggi è inutile negare che a Milano vi sia un disagio endemico, acuito dagli anni di pandemia, dall’inefficacia di talune strategie d’integrazione il cui esito è stato la consegna, senza data di scadenza, di alcune parti della città a gang e più in generale alla delinquenza di strada. A questo tema si accompagnerà un altrettanto profonda riflessione sul significato della parola riformismo: grimaldello in mano a politici da talk e opportunisti di professione a caccia di voti, ma che in realtà rappresenta qualcosa di più profondo. È riformista quel modo di vedere le questioni politiche che antepone la conoscenza alla delibera, che predilige l’efficacia delle soluzioni rispetto a quel vago “sarebbe meglio se” di coloro che leggono il mondo solo in chiave ideale a discapito di quello reale. Il riformismo è un modo di fare politica che accoppia tra di loro soluzioni e problemi, e che dovrebbe trovare proprio a Milano il suo sancta sanctorum per eccellenza. Eppure, al momento, al di là degli slogan e delle promesse, del riformismo milanese c’è un flebile battito, ben lontano dal pulsare delle arterie che dovrebbero irradiare l’agire politico della città. Che fine ha fatto il riformismo? Francesco Ascioti ha inaugurato quella che sarà un’altra serie di riflessioni, si spera feconde, sul significato del riformismo politico. Saranno quindi questi i temi con i quali contiamo di affrontare l’incertezza e la complessità di questo momento storico, lasciandoci alle spalle le sigle e le ideologie di un tempo che forse non tornerà più, nella speranza che questa crisi rappresenti l’opportunità per aprire un dibattito, serio, sulla Milano che vorremmo.

La Redazione

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