Ungheria e Serbia, due vittorie di Putin         

La strategia imperiale di Putin ha riportato il 3 aprile scorso due importanti vittorie in Europa, mentre le sue truppe combattevano con esiti incerti in Ucraina. Due vittorie che dimostrano quanto avrebbe potuto ottenere anche lì, se solo avesse avuto pazienza, con il soft power fatto di intossicazione informativa, finanziamenti occulti a partiti amici, e hackeraggio, piuttosto che con l’hard power fatto di carri armati e bombardamenti a tappeto.

La prima vittoria è stata ottenuta in un territorio appartenente all’Unione Europea, l’Ungheria, l’altra in un Paese candidato a entrare nell’Unione, la Serbia. Qui il presidente Vucic, del partito nazionalista-conservatore ha riportato il 60 per cento dei voti, e ha subito dato la dimensione del suo europeismo, ricevendo sei aerei da carico cinesi che gli hanno consegnato qualche centinaio di missili antiaerei HQ-22 di ultima generazione, simili ai Patriot americani. Come da ordine partito da tempi non sospetti, cioè ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina, e nonostante gli avvertimenti in senso contrario della NATO e degli Stati Uniti in particolare, e i timori degli Stati dell’Unione europea per un rapporto privilegiato sul versante militare con la Cina e la Russia di un paese teoricamente candidato a entrare nell’Unione. Va aggiunto che la Serbia, storicamente legata alla Russia anche per ragioni religiose (entrambi i paesi sono ortodossi), non ha aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia.

In Ungheria, la vittoria del primo ministro Orban, con il 54 per cento dei voti, e soprattutto la conquista della maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, rappresenta la conferma di un fattore di crisi all’interno dell’UE. Già sotto procedura di infrazione per le continue e pesanti deviazioni dal percorso democratico che l’Unione pretende per i suoi Stati membri, l’Ungheria guarda con sempre maggior favore alla Russia, senza timore di rompere l’unità dei “Quattro di Visegrad” (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca), e di restare del tutto isolata nella UE. La Polonia e l’ex Cecoslovacchia infatti sono nemici storici della Russia, e si sono schierate da subito contro Putin, accogliendo, soprattutto la Polonia, quasi tre milioni di profughi ucraini, e nutrendo di armi i resistenti ucraini.

Abbiamo quindi due Stati nel cuore dell’Europa che marciano contro i princìpi democratici e liberali della UE e strizzano l’occhio alle “democrature” russa e cinese. L’Ungheria in grado di far pesare il suo diritto di veto sulle decisioni del Consiglio UE, cioè di impedire ogni ulteriore progresso dell’Unione; la Serbia in grado di rappresentare un punto critico e controcorrente, di un risorgente nazionalismo ortodosso e filo-russo nel cuore dei Balcani. Due Stati molto problematici per la loro posizione geopolitica, da tenere d’occhio nel prossimo futuro.

di Raffaele Raja

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