L’Enciclopedia Treccani alla voce “eredità” riconosce la “trasmissione di valori morali (…) a quanti ne possono essere depositari e continuatori”. La stessa autorevole fonte attribuisce alla parola “partigiano” il significato di “chi parteggia, chi si schiera da una determinata parte sostenendone le idee”. Mai come durante l’Anniversario della Liberazione appena trascorso credo che si sarebbe dovuti partire da queste due chiare e semplici definizioni.
I valori morali dei quali siamo destinatari, nel dirci Partigiani, non possono che attenere alla ferma e radicata convinzione che un popolo abbia il diritto di difendere la propria libertà, la propria legittima e storica autodeterminazione nel definirsi soggetto dello scenario geopolitico complessivo, abbia diritto alla rivendicazione della propria autonomia, dignità e storia ponendosi in contrasto armato (se necessario) contro qualsivoglia genere di invasore il quale, mediante l’uso della violenza, delle armi, compiendo crimini contro l’umanità, consideri possibile occuparne il territorio al fine di sottometterlo.
La Resistenza italiana, fatta da comunisti, socialisti, popolari, liberali, cattolici e laici, donne e uomini, resistenti senza tessere di partito ma semplici cittadini, si è risolta e conclusa nella lotta armata contro l’invasore nazista che- avviatosi verso una rovinosa sconfitta e perduto l’alleato italiano- intese provare ad occupare parte rilevante del nostro territorio nazionale.
Non c’era nessuno che fosse equidistante fra i nazisti e gli Alleati. Che predicasse una soluzione pacifica. E nessuno si sarebbe mai sognato di potere barattare- in cambio di una pace duratura- pezzi di territorio mandando magari con la Germania il Nord Est e con la Nato il resto del Paese o magari facendo della Linea Gotica un confine.
Peraltro nessun Partigiano si sarebbe potuto definire con quella tremenda parola “equidistante”.
Il pacifismo equidistante sperimentato nelle settimane passate è una forma di qualunquismo a buon mercato, tendenzialmente figlio di una doppia morale tipica di quel vecchio modo di procedere di una certa intellighenzia che come Giano Bifronte adotta soluzioni morali diverse per casi simili. Ed è a buon mercato perché è sulla pelle e sulla vita del popolo ucraino, del quale non considera la volontà. I teorici dell’equidistantismo, tipo Orsini, considerano la politica internazionale come una serie di movimenti di bandierine stile Risiko, dimenticandosi che non ci sono dei giocatori al tavolo, ma delle popolazioni che hanno il diritto di decidere per loro stesse.
Si parteggia, da partigiani, stando dalla parte della libertà. È così che ci si mantiene degni dell’Eredità, di quell’insieme di valori morali, che si tenta di difendere e rappresentare non già solo sfilando il 25 Aprile ma nella propria quotidianità, ogni giorno.
Al cospetto di qualsiasi sfida di libertà nessun partigiano si defila “pilatescamente” asserendo le ragioni dell’equidistanza.
Il Presidente della Repubblica, con la consueta saggezza e fermezza, ha riportato il dibattito nella giusta direzione.
Qualche benpensante bontempone si è speso- in maniera del tutto erronea- per criticarlo richiamandosi all’interpretazione dell’articolo 11 della Costituzione. Se costoro studiassero saprebbero che la Costituzione non considera illegittimo il fatto che in questo Paese vi sia un Esercito né che si proceda alla stipula di Trattati Internazionali a scopo difensivo (esattamente per come è la NATO). Se fosse diversamente non potremmo neanche prender parte al dibattito (che speriamo diventi presto un vero progetto) di difesa comune europea.
Ciò che l’Italia fa è ripudiare la guerra come mezzo di offesa, cioè condanna quanto subìto dal popolo ucraino. Studino lorsignori.
Viva l’Italia della Resistenza, Viva l’Ucraina che Resiste.
di Francesco Ascioti