Perché i principali Stati membri non vogliono l’Ucraina dentro la UE, nonostante i proclami di solidarietà e la promessa di un iter abbreviato? Hanno cambiato idea? Come spesso accade nei rapporti tra Stati, è tutto molto più semplice e, allo stesso tempo, più complicato. Molto semplicemente, ci sono delle regole, i famosi Trattati, e ci sono tanti altri Paesi in attesa, alcuni da molti anni, che quindi “vengono prima dell’Ucraina”. I Paesi dei Balcani Occidentali, prima degli altri. Le regole, cioè i Trattati, disciplinano in dettaglio cosa devono fare i Paesi candidati per essere ammessi nel Club. E l’Ucraina, fino a ieri (per dirne una), non era un Paese modello per indipendenza della magistratura e lotta alla corruzione. Votare, almeno fino al 2019, era un esercizio difficile e non sempre garantito. Poi, certo, con la presidenza Zelensky molte cose sono cambiate, da quando l’Occidente e la UE sono diventati modelli da imitare e da eguagliare al più presto. Peraltro, per diventare “candidati” occorre molto tempo, a volte anni, come la Serbia o la Turchia possono testimoniare.
Ma non si tratta solo di regole e trattati. Come ha detto pochi giorni fa il ministro francese responsabile dei rapporti con la UE, Clément Beaune, perché l’Ucraina entri nella UE ci vorranno “molti anni, probabilmente decenni”. Semplice constatazione dei tempi necessari a risolvere i problemi a cui abbiamo accennato? O puntualizzazione concordata con lo stesso presidente Macron? Eppure Beaune parlava come rappresentante del nuovo governo francese, insediato dopo le elezioni presidenziali di aprile, quindi non possiamo pensare a una voce “dal sen fuggita”. E che dire della Germania? Federico Fubini sul Corriere del 27 maggio notava sconfortato che Scholz, nel suo intervento al World Economic Forum di Davos, aveva rimarcato che prima dell’Ucraina ci sono altri Paesi in coda, come nei Balcani Occidentali. Come dire, non si può saltare la fila. Poi Scholz aveva parlato solo di Germania, e mai di Europa, né di difesa comune, né delle sanzioni decise a livello UE. Nulla di nulla. Solo la Germania e il Mondo. Ora pure con un rinato esercito nazionale previa modifica costituzionale…
Abbiamo visto cosa pensano i due Paesi motori dell’Unione. E gli altri? Spagna e Italia, al di là della facciata, sono consapevoli delle “regole”, e hanno altre urgenze (interne), o hanno scelto una linea defilata in questa guerra che per loro non ci voleva proprio, dopo la pandemia che ne ha sconvolto economia e società. I Quattro di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Rep., Ceca) si sono bellamente spaccati sulle sanzioni contro la Russia e sugli aiuti all’Ucraina. Solo la Polonia – memore della sua storia di nemica naturale della Russia da Ivan il Terribile fino a Stalin – ha sposato la linea dell’Ucraina “dentro subito”, sta sostenendo il peso più grande per l’accoglienza di quasi tre milioni di profughi ucraini, e spinge per aiuti militari e interventi NATO al di là di ogni ragionevole frenata americana (che arriva a giorni alterni). In più la Polonia, da sola, pensa ad una UE in cui i 44 milioni di abitanti ucraini sommati ai 60 polacchi potranno spostare gli equilibri dell’Unione verso Est, equilibrando il peso dell’asse franco-tedesco.
E gli altri? I piccoli? Tutti in ordine sparso. Svezia e Finlandia si stanno affrettando a entrare nella NATO, buttando a mare una neutralità che nel caso svedese data da duecento anni, facendo sempre più assomigliare la UE a una piccola NATO economica, e mostrando di credere anzitutto all’ombrello protettivo atomico americano (quello francese, l’unico “europeo” non è abbastanza). La Danimarca ha appena approvato in un referendum, con il 67 per cento degli elettori, una difesa europea per ora inesistente o solo annunciata (una brigata di 5mila uomini basterà a fermare l’Armata russa?). L’Ungheria ha appena obbligato gli altri 26 Stati UE a addolcire il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, perché non intende rinunciare a ricevere il petrolio russo tramite oleodotto, né a fare da paladino della “libertà religiosa” togliendo il patriarca ortodosso Kirill dalla blacklist dei sanzionati dalla UE. Un vero e proprio paladino dei buoni rapporti con la Russia, eppure membro UE e NATO…
Insomma, accogliere l’Ucraina nella UE in tempi brevi pone infiniti problemi, e dimostra il valore dell’antica formula latina “amicus certus in re incerta cernitur” (il vero amico si vede nelle avversità). La UE è un “vero amico” per l’Ucraina? Se ci sono altri Paesi in attesa (i Balcanici, alcuni già “candidati” altri no), perché l’Ucraina dovrebbe saltare la fila? Come la prenderebbero gli altri? E poi: si può accogliere un Paese in guerra con un altro? Anche la UE nel suo piccolo ha qualcosa di simile al famoso articolo 5 del Trattato NATO, cioè una clausola che prevede il sostegno di tutti gli Stati membri se uno solo di essi viene aggredito da una potenza esterna. La UE si troverebbe ipso facto in guerra (vera) con la Russia. Meglio quindi aspettare la pace, una vera pace che non sia solo una tregua o un armistizio. E poi, cosa significa un altro grande Paese, 44 milioni di abitanti, nella UE? L’Ucraina non è il Regno Unito, e tutto il “club” sarebbe fortemente sbilanciato verso Est. Per tanti motivi, non è una scelta da farsi a cuor leggero. Ecco perché i francesi parlano ora di “anni, se non decenni” e la Germania, più brutalmente, invita a stare in fila.
Comunque il vero “caso” di questa fase dell’Unione è la Germania post-Merkel, che non perde occasione di rimarcare i suoi vetusti princìpi di rigore finanziario (no a ulteriori proroghe della sospensione del Patto di Stabilità, cioè al diavolo i Paesi del Sud), e la sua indifferenza alla stessa esistenza della UE. Il suo riarmo non è inteso come partecipazione alla difesa comune (ahimè, vede ancora come fumo negli occhi la prevalenza francese), ma come fatto nazionale, deciso tra mille dubbi delle diverse componenti di governo. Indifferenza che si riflette sull’ondivaga politica di aiuto militare all’Ucraina (armi pesanti o forniture obsolete da arsenali di vecchi carri armati inservibili?), e appare nella sua pienezza nell’intervento di Scholz al WEF.
Ce la farà Macron a raggiungere qualche obiettivo ancora prima del 30 giugno, cioè in una ventina di giorni? La Francia è rimasta la sola a pensare a una UE più forte e unita, e rischia di fallire nel suo obiettivo di approfittare di questa guerra per far progredire l’unità politica e di difesa UE. Possiamo sperare nella Repubblica Ceca, che reggerà la presidenza del Consiglio UE dal 1° luglio? O nella Svezia, dal 1° gennaio 2023? Trattandosi di uno dei soci di Visegrad e di uno dei Paesi che sta per rinunciare alla sua neutralità, è ben più probabile che si rafforzi la NATO piuttosto che la UE.
D’altra parte, della UE interessano solo i soldi e la moneta, se anche la Croazia adotterà l’euro dal 2023. Vuol dire che la UE funziona solo per la finanza, traballa in economia, ed è un disastro dal punto di vista politico e nei casi di emergenza. E ha pochissime probabilità, messa così, di sopravvivere ai prossimi vent’anni.
di Raffaele Raja