Chi scrive non è un seguace delle teorie del complotto. Tuttavia le dichiarazioni entusiastiche del super-falco Medvedev, già primo ministro di Putin, danno da pensare. In un post su Telegram mette insieme Boris Johnson, Mario Draghi e una sagoma non definita per dire: due nemici hanno lasciato il campo, e ora a chi toccherà? Se uno seguisse le teorie del complotto penserebbe a uno zampino russo in tutto questo sfacelo. In fondo, Johnson è scivolato su un party organizzato durante il lockdown e rivelato sui social. Draghi è caduto per le manovre di un Movimento 5 Stelle che ha sempre remato contro gli aiuti militari all’Ucraina, mentre alcuni suoi esponenti sono finiti nella famosa lista nera dei servizi segreti come “filoputiniani”. E per il voltafaccia dell’ultima ora di una Lega formalmente legata da un patto di amicizia al partito di Putin…
Coincidenze? Millanterie di Medvedev o semplice constatazione che due Paesi occidentali in prima fila contro Putin sono in grave difficoltà? Eppure la Commissione Europea, non una centrale della teoria dei complotti, ha dichiarato nei giorni scorsi che la Russia attacca i paesi occidentali tutti i giorni con la “disinformazione”, e che in non pochi Stati membri UE la situazione politica è fortemente influenzata dalla Russia, proprio attraverso i social e i canali “alternativi” di informazione. Non è un caso che in questi giorni l’Economist e il New York Times sottolineino rispettivamente che l’Europa “sta per affrontare l’inverno più difficile della sua storia recente” e “la crisi italiana rappresenta un disastro per l’Europa”. Fino a Libération che fa la sua copertina con la faccia di Draghi titolando: “Draghi fa flop, l’Europa va in panico”. Perché queste previsioni apocalittiche?
L’inverno europeo sarà difficile per la crisi del gas, ma non solo. Che Putin chiuda del tutto i rubinetti o siano i Paesi UE a inasprire le sanzioni per la guerra in Ucraina, il risultato non cambia. L’inverno sarà rigido, con il razionamento dei caloriferi e chissà mai dell’energia elettrica (che in Italia e Germania sempre dal gas arriva). Aggiungiamo l’inflazione galoppante, quasi in vista della doppia cifra, qualcosa che ci riporta agli anni Ottanta. E mettiamoci pure il crollo dei mercati (-3,50 la Borsa di Milano al solo annuncio delle dimissioni di Draghi), il crollo dell’euro (tornato dopo molti anni sotto la parità col dollaro) e del Pil (previsto in caduta libera da +6,6 nel 2021 a +0,9 nel 2023), e il quadro è quasi completo.
Cosa manca, trascurando il rischio di una terza guerra mondiale sempre presente grazie al conflitto in Ucraina? Ah sì, il COVID che non molla la presa (150 morti al giorno in piena estate, figuriamoci d’inverno), e le democrazie in crisi di identità. Con la Francia, in cui Macron spera di andare avanti con un governo di minoranza, contrattando di volta in volta l’approvazione del Parlamento; la Spagna, che ci prova con i treni gratis fino a fine anno (con conseguente ulteriore espansione della spesa pubblica); la Gran Bretagna, senza leader fino a settembre e poi con un signor nessuno che si barcamenerà per quanto possibile; la Germania, stordita dalla minaccia della recessione prevista per il 2023, con un governo incapace di leadership in Europa, succube del ricatto del gas russo e lacerato dagli opposti estremi al suo interno, liberali e verdi; l’Italia, senza Draghi, come un vascello nella tempesta “senza nocchiero”, con il PNRR impantanato e il rischio di dover restituire alla UE un pacco di miliardi non utilizzati, e un ruolo finalmente da protagonista in Europa definitivamente sepolto per manifesta inaffidabilità (addio trattativa sul tetto del prezzo del gas, per dirne una…).
È sufficiente? L’Economist, da parte sua, aggiunge l’incubo del 6 gennaio 2021, cioè dell’attacco al Parlamento USA ad opera dei trumpiani, per concludere che le elezioni di mid-term a novembre segneranno la fine di Biden e della democrazia americana (e mondiale) o la loro rinascita, a seconda del risultato. D’altra parte lo diceva anche Ann Applebaum in un suo libro recente: le democrazie non sono a loro agio nel mondo dei social, dove ogni discussione razionale è bandita, prevale l’emozione momentanea e il futuro è ridotto alla sera stessa o al giorno dopo (il c.d. “presentismo”). Il popolo è portato a preferire i demagoghi e quindi i dittatori, che possono scegliere senza lacci e lacciuoli, senza inutili perdite di tempo con Parlamenti e opinioni pubbliche. Ci sono dei pericoli? Che qualcuno ci protegga, e decida per noi. Basta che possiamo collegarci a Internet e scambiarci i nostri post (anche se si tratta di reti censurate come in Russia e in Cina), il resto non ci interessa. Esagera, la Applebaum? In tutto il mondo (occidentale) ormai chi va alle urne per le elezioni parlamentari non è più la maggioranza degli aventi diritto, ma una minoranza (in Italia siamo già alle soglie del 50 per cento, la Francia ha già infranto questo muro). La maggioranza, come si usa dire, sta alla finestra. Della democrazia non gliene importa nulla.
A poco serve consolarci con l’articolo del NYT sull’importanza che Draghi avesse potuto restare al timone dell’Italia in questo terribile inverno. Se così fosse stato, l’intera Europa si sarebbe giovata di una presenza autorevole, di una vera leadership che sia pure in tandem con Macron avrebbe potuto esercitare un ruolo unico nel panorama mondiale. Per dimostrare ancora una volta che l’Europa è la vera culla della democrazia e può svolgere il suo ruolo di difesa e avanzamento dei diritti in un mondo nel quale ci si può svegliare una mattina e rischiare di andare in carcere per avere abortito o per essere gay. Come dimostrano la decisione della Corte Suprema USA e i cambiamenti improvvisi nelle legislazioni di molti Stati americani conservatori, che hanno abolito il diritto all’aborto e ristretto i diritti LGBT dalla sera alla mattina, questo non è un brutto incubo, ma la realtà.
Tutto questo – la democrazia, i diritti, lo sviluppo – dipende dalla scomparsa di Draghi come primo ministro italiano? Perché no? Diceva Alessandro Magno che “dalla condotta di alcuni dipende il destino di tutti”. Detto in altri termini, è l’effetto farfalla, il caposaldo della teoria del caos: il battito d’ali di una farfalla che provoca un uragano dall’altra parte del mondo. In un mondo diventato sistemico basta una piccola scintilla per scatenare un grande incendio. Possono essere le elezioni di mid-term o quelle italiane, o le dimissioni di Draghi, non c’è differenza. Anche l’Italia può essere quella farfalla? Speriamo di no.
di Raffaele Raja