L’ossessione identitaria

Sul quotidiano Europa del 27 maggio 2009, più di tredici anni fa, scrivevo un corsivo intitolato l’ossessione identitaria.

Dall’ossessione dell’immagine siamo passati all’ossessione dell’identità. E così come erroneamente si pensava 15 anni fa che si potesse determinare la propria immagine, che si potesse apparire quello che si vuole annullando il ruolo dell’interlocutore, di chi riceve il messaggio; oggi si pensa che le identità siano definite una volta per tutte e non a caso si utilizzano metafore genetiche che fanno riferimento al DNA. Invece l’identità è un processo di costruzione consapevole e interattiva che si sviluppa attraverso processi di costruzione di senso relazionali. Mi identifico solo in relazione ad un altro, mi faccio identificare affrontando problemi, trovando soluzioni e quando funzionano queste diventano parte della mia cultura del mio modo di vedere le cose e di dare un senso alle cose che faccio. Anche l’identità, soprattutto, l’identità è un processo di costruzione sociale nel quale la comunicazione gioca un ruolo cruciale.

Per una parte consistente dello schieramento politico siamo sempre lì. Siamo lì in primo luogo, per gli sconfitti dal voto che appaiono del tutto smarriti (lasciamo perdere i demeriti individuali del suo leader) soprattutto perché “non sanno inserire il proprio dolore in una storia”, non sanno inserire l’accadimento in un racconto che lo spieghi, che gli dia un senso. Come scrisse Karen Blixen: «tutti i dolori sono sopportabili se li si inserisce in una storia o si racconta una storia su di essi». E mi piace aggiungere una frase di Hannah Arendt (Che cos’è la filosofia dell’esistenza?, Jaca Book, Milano 1998):

La storia rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di meri eventi […] la narrazione rivela il significato senza commettere l’errore di definirlo […] determina l’accettazione e la riconciliazione con le cose per quel che sono realmente.

L’interpretazione della sconfitta (come in generale degli accadimenti) è una caratteristica essenziale non solo di un leader ma di tutto un gruppo dirigente. Chi ha ascoltato Matteo Renzi all’evento di Milano della settimana scorsa ne ha avuto una prova. Le interpretazioni danno senso agli eventi, la vera sconfitta di un gruppo dirigente sta nel non sapere dare un senso a ciò che è accaduto, ridefinire al più presto una meta, uno scopo da perseguire. È essenziale saper descrivere quello che stiamo vivendo, consapevoli delle paure e delle ansie ma sapendo indicare una via d’uscita realistica, credibile. È da questa capacità di descrizione, di attribuzione di senso agli accadimenti, che si forma una identità. Ci si fa riconoscere, agendo, facendo vivere esperienze a chi è in relazione con noi, a chi interagisce – collaborativamente o conflittualmente – con noi.

Forse c’è da discutere sul merito della conferenza stampa tenuta venerdì da Calenda e Marattin per avanzare proposte al governo attuale e futuro sulle tariffe del gas. Forse lo scarso seguito che essa ha avuto sulla stampa è indice degli attuali rapporti di forza. Ma certo è un modo per distinguersi, per farsi identificare. Azione e Italia Viva vogliono caratterizzarsi come quelli che pensano alla politica come iniziativa finalizzata al governo, alla soluzione dei problemi pratici della quotidianità. Non a un dibattito su chi si è o si crede di essere, partendo da un chi si voglia rappresentare e che poi in realtà non si sa nemmeno se nella società esista davvero o, invece, viva solo nelle proprie rappresentazioni.

di Mario Rodriguez

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