L’importanza strategica delle infrastrutture prende spazio ogni giorno nelle notizie che vengono dall’Ucraina. Il “nemico” punta a bombardare le infrastrutture per indebolire gli ucraini, che restano senza elettricità, gas, luce e escono la sera accompagnati dalle torce per farsi luce in strada.
Temi come questi entrano da quasi un anno nella strategia e nella comunicazione geopolitica, quando prima erano essenzialmente parte delle politiche nazionali interne, anche esportabili, ma pur sempre settoriali. Nazioni come la Lituania, che condivide la sua frontiera con Russia, Bielorussia e Est Europa, stanno giocando ad esempio un ruolo politico chiave nell’attuale scenario di trasporti e logistica: “Stiamo aiutando l’Ucraina a trasportare merci aggirando la Bielorussia — spiegava Marius Skuodis, ministro lituano dei Trasporti, in un recente vertice bilaterale a Trieste -. Purtroppo le opzioni per evitare il territorio bielorusso sono limitate in termini di infrastrutture”. Secondo Skuodis, lungo i Paesi compresi tra il Mar Baltico e l’Adriatico, dovrà avvenire “un cambio di mentalità, soprattutto in termini di infrastrutture. “È vero che dobbiamo trasportare merci dal punto A al punto B, ma l’incertezza geopolitica significa che non possiamo prevedere cosa accadrà nei territori in cui passano le rotte di queste merci. È quindi necessario trovare alternative e opzioni compatibili, cercando di pensare in modo flessibile. Siamo contenti che l’Unione europea stia investendo nelle infrastrutture delle ferrovie europee. Si potrebbe fare di più anche nel campo della gestione dei sistemi ferroviari di diversi Paesi, aumentando così la resilienza del settore dei trasporti europeo”.
Circa una settimana fa è uscita una notizia che dice che le grandi banche cominciano ad arruolare advisor per la geopolitica. Da questa guerra in poi, anche le strategie aziendali delle supply chain, e non solo, devono includere le problematiche geopolitiche. In un contesto di crescenti sanzioni e contro-sanzioni internazionali, dal marzo 2022, si è complicata la gestione della logistica dei flussi di import-export delle merci. Ad esempio, per le Pmi non dotate di uffici compliance internazionali è stato necessario rivedere per la crisi bellica la filiera della logistica: l’operatore di trasporto, lo spedizioniere, l’operatore di dogana, i legali, i consulenti, le banche. Per dirla in breve, geopolitica e settori industriali, finanziari e energetici adesso stanno sulla stessa piattaforma del “capitalismo politico”. Perfino le aziende, quindi, non possono permettersi più carenze nel pensiero politico.
di Francesco Rao