Meglio Dioniso o Apollo?

Meglio alticci che sobri. I più ne avevano già contezza ed Edward  Slingerland, con il suo saggio “Sbronzi. Come abbiamo bevuto, danzato e barcollato sulla strada della civiltà”, pubblicato da Utet, ha finalmente fornito anche agli astemi ottime ragioni per concedersi una birra. Creatività e socialità trovano infatti nella fermentazione un alleato con cui superare l’oppressione esercitata dalla mente conscia, permettendo così l’espansione di quelle caratteristiche che più di altre rendono la specie umana unica nel suo genere. Sì, ci sono delle controindicazioni e Slingerland stesso le cita tutte, aggiungendone anche due meno conosciute. La prima è il che bere stimola sì la socialità, ma è altresì un atto sociale, per questo bere in solitudine sarebbe da ritenersi contro-evolutivo. La seconda, che i superalcolici sono un’invenzione relativamente recente alla quale il nostro corpo non si è ancora abituato: birra e vino invece convivono con noi da millenni. Da queste due controindicazioni è facile intuire il grado di scostamento da quello che fu il rituale ancestrale del bere all’uso odierno delle bevande alcoliche. Due mondi diversi il cui scontro favorisce sia la comunità scientifica, sia le politiche pubbliche dei principali partiti, che demonizzino il nettare di bacco senza volergli riconoscere il posto che merita ed ancora esercita nella nostra società. Ed è proprio alla luce di questo conflitto che si può scorgere la rivelazione più interessante del libro di Slingerland, che ci racconta di come ben prima dell’avvento dell’agricoltura e degli Stati, l’essere umano trovasse  nei rave party a base di alcol e lussuria un valido mezzo per riscoprirsi parte del tutto, seppellire l’ascia di guerra e stringere dei legami stabili e profondi coi propri simili. Oggi, invece, in Italia i rave sono puniti con pene draconiane, per non parlare della legislazione sulle droghe leggere. Follia? No, semplicemente il radicamento in una differente mitologia. Per Platone e Socrate bere era parte integrante del filosofeggiare e dell’essere umani, mentre col Novecento, e soprattutto oggi con il ripudio della società secolarizzata, i sovranisti di tutto il mondo si affidano sempre più alla luce di un altro dio greco, Apollo. Divinità dell’autocontrollo incoronata da Aleksander Dugin, in “La quarta teoria politica”, il punto di riferimento per la società di domani. Possibile che dietro una pinta di birra ci sia tutto questo? Ebbene sì e sarebbero questioni di cui dovrebbero occuparsi politologi ed esperti di comunicazione, che invece discutono di identità e di tweet.

di Claudio Dolci

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