“I liberal-democratici sono il futuro del paese”

Per qualcuno la politica è ancora una questione seria, come dimostra la storia di Francesco Ascioti, giovane avvocato civilista di 35 anni e braccio destro del Terzo Polo in Lombardia. Ascioti si trasferisce a Milano 17 anni fa ed inizia il suo percorso di studi in Bocconi, sino a quando, ottenuta la laurea, ha la possibilità di intraprendere la carriera accademica, che però lascia in favore di quella in ambito professionale. Fonda il suo studio legale, insieme ad altri partner, ed inizia ad affacciarsi al mondo politico frequentando la fucina del Pd milanese per eccellenza, ovvero il circolo 02. Ne diventa segretario, poi responsabile del coordinamento provinciale del Pd e nel febbraio del 2022 approda ad Azione, dove trova maggiore coerenza rispetto alla sua idea di politica. Nel maggio dello stesso anno ne diventa responsabile organizzativo Regionale, poi tenta la corsa per le nazionali ed oggi quella per il Pirellone.

Come sei approdato al mondo della politica?

Sono sempre stato un elettore del centro-sinistra, dall’Ulivo in poi ho sempre seguito l’evoluzione del Pd, però senza mai fare militanza attiva, perché non mi trovavo in sintonia con quella che fu la stagione del P.d.s: tant’è che ho preso la tessera del partito solo dopo l’elezione di Matteo Renzi a segretario nazionale. Lui vinse l’8 dicembre del 2013 e io a gennaio mi iscrissi. Fu lui, e la sua visione, a convincermi che i liberali potessero avere cittadinanza nel Pd e quando non è stato più così ho preso e salutato.

E il passo da Pd ad Azione? Qual è stata la molla che ti ha spinto a cambiare?

Partiamo dai nomi e dai partiti. Obama e Clinton negli Stati Uniti e Blair nel Regno Unito: i Liberal sono da sempre democratici e non repubblicani. E per questo ho sempre creduto che i liberal democratici, anche in Italia, dovessero trovare cittadinanza nel Pd e da liberal democratico, socialista, ho sempre creduto in questo ragionamento. Il problema è che il Pd, con le sue scelte, e mi riferisco alla sua saldatura con i 5 Stelle, il Conte padre dei progressisti di tutto il mondo, o lui o morte, e poi nella deriva a sinistra, mi ha portato a capire che quella non poteva più rappresentare casa mia. La stessa candidatura di Schlein alle primarie rappresenta un tassello politico difficile da contestualizzare con l’idea di liberal. Calenda, dal canto suo invece, ha fondato un partito di stampo liberal-democratico con valori ben precisi; un esempio su tutti, quello del posizionamento rispetto al conflitto Russia Ucraina. Una posizione inscalfibile nel tempo e che, come ho potuto constatare in prima persona attraverso altri gruppi del Pd, altrove risulta assai più precaria. Poi ripeto, la saldatura con i 5Stelle a mio avviso non è accettabile.

Di recente hai fatto esperienza, attraverso una candidatura, con le elezioni nazionali. Com’è andata e che cosa ti hanno lasciato?

È stata indubbiamente una grandissima opportunità che Calenda e il partito mi hanno permesso di vivere. Durante quel periodo mi sono potuto emancipare nella comunità di Azione Milano, che ha tutto un suo mondo, mentre per quanto riguarda la campagna elettorale in sé, è stata una sfida complessa, perché il messaggio di Calenda, e questo lo si è poi visto anche nei risultati del Municipio uno e del centro di Milano, funziona molto bene con uno specifico elettore. Mi spiego meglio, quello di Calenda è un messaggio che passa in una determinata borghesia, con una buona istruzione e un determinato reddito, mentre io ho fatto campagna elettorale a Brenta e a Soglio, quindi in quelle periferie votate a Giorgia Meloni. E in quel contesto il messaggio di “rendiamo più grandi le dimensioni degli studi professionali” o “facciamo la flat tax per i professionisti con uno scivolo” hanno trovato un terreno più sdrucciolevole. D’altronde, con la vita vera, con chi affronta tutt’altre difficoltà dev’esserci un confronto duro e sincero. Per queste ragioni non ho giovato della bellezza generata dal messaggio di Calenda nella Ztl. Io ero fuori da quella zona e quindi è stata una campagna elettorale dura, ma allo stesso tempo bella ed intensa.

Ora sei di nuovo in corsa, questa volta a sostegno della candidatura di Letizia Moratti. Quale pensi che sia il punto di forza?

Letizia Moratti con coraggio si è dimessa dal suo precedente incarico perché giustamente contraria a un principio e per questo la rispetto; perché quando il governo dice ai medici no-vax che possono tornare a fare il loro lavoro di sempre come se nulla fosse, a mio avviso c’è qualcosa che non va e lei su questo tema si è dimessa in modo molto nobile. Dopodiché il suo apporto alla campagna vaccinale, insieme a quello del generale Figliuolo è stato fondamentale per uscire dalla pandemia. È una donna seria e con la giusta esperienza per governare la Lombardia.

Se dovessi identificare il cavallo di battaglia della campagna elettorale?

Sia io, sia lei, ci concentriamo molto sulla medicina di prossimità. Moratti è la donna della medicina di prossimità in Lombardia, perché la legge che porta il suo nome è proprio quella che prevede la creazione di case ed ospedali della comunità. Durante il suo mandato è riuscita a portare in Lombardia il futuro, tant’è che in Ue è già così, lei ha di fatto anticipato quello che altrove era prassi, ovvero predisporre delle case e degli ospedali di comunità con l’obiettivo-sfida di svuotare gli ospedali. E nella mia proposta, essendo la sfida politica incentrata sul tema della medicina di territorialità, si parla molto di farmacie e medici di medicina generale quali avamposti da recuperare per la salute di prossimità Lombarda.

Confronto Majorino, Fontana e Moratti: che cos’è che differenzia di più la proposta di quest’ultima rispetto a quella dagli altri due candidati?

Fontana è tecnicamente un impresentabile, e non sul piano giudiziario, dove tra l’altro è stato assolto, ma su quello politico, perché ha fallito su tutto. Il centro-sinistra, con Majorino, invece, fa una scelta miope, perché si chiude, diventa autoreferenziale e così facendo si rivolge solo a sé stesso. E trovo difficile che una parte dell’elettorato lombardo si possa riconoscere in una scelta massimalista come quella di “non facciamo gli inceneritori”, col risultato di rendere Milano come Roma.

I sondaggi premiano ancora Fontana, nonostante tutto, perché?

Quelli fotografati dai sondaggi non sono gli elettori di Fontana, ma del centro destra e della destra, che lo voterebbero in ogni caso. Alle elezioni del 2018 Fontana esordì alla campagna elettorale profetizzando addirittura la scomparsa dell’uomo bianco e questa è la dimostrazione che esiste un elettorato di centro destra che si riconosce, purtroppo, quasi sempre con questa offerta politica. Dobbiamo essere noi a fare proposte intelligenti a questi mondi di elettori.

Ma proprio in virtù dei sondaggi non era possibile creare un accordo con Majorino? Che cos’è che non ha funzionato nella creazione di una proposta unitaria?

Non ha funzionato il fatto che il Pd lombardo è stato cieco e sordo, per capirlo è sufficiente guardare a come sono andate le alleanze in Lazio, dove D’Amato ha raccolto sotto di sé tutti tranne i 5Stelle. Qui da noi, invece, non si sono volute capire le ragioni per le quali aveva senso saldarsi, ovvero trovare un candidato o una candidata autorevole e che rappresentasse tutti. Occorreva avviare un cantiere serio ed intelligente, così com’è stato fatto in Lazio, subito dopo le politiche, ma purtroppo non è andata così.

Visto la tua esperienza allo 02 (storico circolo Pd milanese), mi chiedo se per te sarebbe cambiato qualcosa se al posto di Majorino ci fosse stato Maran?

Difficile dire come sarebbero andate le cose, ma è un fatto che Maran riesca parlare a un elettorato liberal democratico, mentre Majorino no.

Pronostici sul congresso del Pd?

Cuperlo e De Micheli mi sembrano fuorigioco – rispettivamente – il primo aiuta Bonaccini, mentre De Micheli la Schlein, anche non se ne capisce il senso. E se parliamo di questo derby tutto emiliano penso che vi siano meno differenze di quelle che si pensino: Bonaccini è un amministratore serio, ma occorre prestare attenzione alle sue aperture al mondo 5Stelle. Schlein, invece, è una donna che rispetto, intelligente e preparata, c’è bisogno di giovani come lei, detto questo non condivido una sola parola della sua agenda. Una segreteria Schlein vorrebbe dire una chiusura netta nei confronti di un partito liberal-democratico come il nostro. A quel punto un’alleanza sarebbe impossibile.

di Claudio Dolci

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