La nostra società

La nostra società, soprattutto tra i più giovani, sta mutando da una società della colpa a una società della vergogna, tanto che la maggiore espressione del disagio giovanile era fino a pochi anni fa il cattivo rendimento scolastico, nonché comportamenti anti-sociali o comunque provocatori. Oggi invece a queste manifestazioni se ne accompagnano altre di segno quasi opposto e ormai diffusissime: i ragazzi e le ragazze si rinchiudono in casa, non vanno più a scuola nonostante i buoni voti, cercano di fare lezione online. Fenomeni come l’autolesionismo sono considerati in forte aumento, così come sono in aumento i casi di anoressia e disturbi alimentari in genere.
Il problema però, non sono i social e le tecnologie. Questi hanno certamente  cambiato la società, ma è quest’ultima che non ha saputo stare al loro passo.
Un primo fattore che ha portato i ragazzi di oggi ad essere spaventati dal mondo, e carichi di ansie rispetto ad esso, pare vada rintracciato nell’ipercontrollo e nell’iperprotezione genitoriale, esasperata dalla mala gestione di strumenti come il cellulare e WhatsApp.  
Io la ricordo l’emozione della prima volta in cui in bicicletta ho raggiunto, tutto da solo, i giardinetti a fianco a casa, dove incontrai i miei amici. Ricordo bene le prescrizioni della mamma e la tensione. Mi dicevo: “se non li trovo, aspetto 10 minuti e poi torno a casa. Spero vada tutto bene”. Gli amici c’erano, stemmo a giocare qualche ora, poi tornai a casa a raccontare la mia esperienza. Mia madre non c’era stata, e non avevo il cellulare.
I giovani oggi si ritrovano un cellulare in mano, e non perché lo vogliano, ma perché lo devono avere, e devono controllare sia sempre carico, perché è un continuo: “scrivi quando arrivi”, “ricordati di prendere il pane”, “tutto bene?”, “sono in ritardo, aspettami dentro la scuola”. Mamma è sempre con noi ai giorni d’oggi. Un tempo, la lavata di capo arrivava se si rientrava a casa in ritardo. Oggi arriva anche se si rientra puntuali, o in anticipo, ma se mamma ha scritto: “tutto bene?” e tu avevi il cellulare scarico…sono guai! “Ci hai fatti stare in pensiero!” è la frase più inflazionata del nuovo millennio. È l’ipercontrollo, o l’iperprotezione.
Perché di iperprotezione si tratta se sentiamo ormai settimanalmente di insegnanti aggrediti da genitori per una nota data al figlio. Li proteggiamo da tutto. Ma così facendo non li svezziamo più.
Ci sono contesti dove nemmeno mamma può proteggerti, e lì ci si trova all’improvviso senz’armi e ci si scopre soli: quando ti danno dello sfigato, quando la ragazza che ti piace non ti guarda, quando i compagni sparlano di te.
Ora pensate, vedendo i profili social, a quanto patinate appaiono le vite degli altri. E pensate a cosa significa non essere educati a capire che i social non sono la realtà, ma aver vissuto solo quelli per 2 anni. E i genitori di oggi, presi come sono a condividere fake news, a insultare sui social intasando i tribunali di denunce per diffamazione non sono stati buoni insegnanti (senza colpe, la società cambia sempre più in fretta di quanto lo facciamo noi).
La difficoltà nel mettere a fuoco le vite dei propri coetanei deforma inevitabilmente la lente sotto cui ciascuno osserva la propria. Il modo per sfuggire a questo disagio come sempre in adolescenza consiste nel conformarsi in un gruppo sociale. Ma oggi anche il gruppo è spesso poco funzionale, perché 2 anni di vita sui social hanno premiato le individualità, la leadership non si basa più così spesso sul carattere ed il rapporto inter-gruppo ma sulla popolarità e riconoscibilità extra-gruppo. Oggi Gianburrasca avrebbe tanti amici. Oggi chi evade dal carcere Beccaria raggiunge gli amici, e questi si stringono intorno a lui ad ascoltare la sua esperienza, rocambolesca, anomala, e soprattutto, ormai popolare.

di Andrea Bonetti

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