Ogni comunità politica ha i suoi punti di riferimento e Pietro Bussolati è sicuramente uno dei volti più noti del centro-sinistra lombardo. Si è fatto strada a partire dal 2011, quando venne eletto segretario del circolo 02PD, poi di nuovo nel 2013, quando diventò segretario metropolitano del Pd milanese, ed infine nel 2018, quando con 8.284 preferenze approdò al Consiglio Regionale. La sua è una storia fatta di successi professionali, con incarichi in Enel, Eni e per l’Autorità per l’energia elettrica, e politici, ma non solo, perché Bussolati ha anche vissuto gli ultimi 12 anni d’evoluzione del Pd, dal primo Letta all’ultimo, passando per Renzi e suoi successori, sempre riuscendo a farsi interprete della visione di centro-sinistra milanese.
Lei è stato segretario dello storico circolo milanese 02, che cosa ha rappresentato quell’esperienza e che cosa le ha trasmesso?
È stata senza dubbio una scuola politica basata sull’idea che i partiti debbano essere aperti alla società e non autoreferenziali. Ed in tal senso 02, con la sua storia, ha da sempre avuto la capacità di stimolare la passione politica in persone che avevano competenze esterne a questo mondo, per poi farle diventare consiglieri di municipio, attivisti, dirigenti politici di spessore.
Durante la sua esperienza politica c’è stata l’ascesa di Matteo Renzi, che cosa può dirci di quella stagione del Pd?
Quando Renzi si è proposto segretario nazionale ha saputo interpretare quella necessità di apertura verso gli elettori e i partecipanti alle primarie. All’epoca teorizzava la costruzione di un grande partito della sinistra, inclusivo delle sue varie sensibilità, anche se oggi ha un po’ cambiato idea rispetto a quest’approccio. Per quanto mi riguarda, quella stagione ha influenzato la mia esperienza come segretario metropolitano, visto che noi abbiamo fatto un’apertura nei confronti dei partecipanti alle primarie, facendoli diventare attivisti dell’azione a locale milanese.
Quali sono le difficoltà maggiori nel rapporto che c’è oggi tra la città di Milano e la Regione a trazione leghista?
Sono molteplici e nel loro insieme rappresentano un continuo ostacolo allo sviluppo di Milano. Prima fra tutte quella legata al tema dei trasporti. A Milano occorre che funzionino quelli che dall’esterno portano in città, ma al momento la Regione li gestisce in modo disastroso. Sono a tutti gli effetti vagoni merci, insicuri e sporchi, e tutto questo danneggia Milano, perché viene preferito il traffico veicolare, il quale però non è sostenibile e crea le condizioni affinché la città sia fortemente inquinata. Anche da un punto urbanistico, le due visioni di sviluppo sono diametralmente opposte. Milano premia la sostenibilità, penalizzando chi lascia vuoti gli immobili, l’opposto di quanto invece stabilito da Regione Lombardia. Si tratta di visioni incompatibili tra di loro e che danneggiano principalmente la città di Milano. Cito un altro esempio, anche la carenza dei servizi sanitari di base nelle periferie danneggia chi le abita e di fatto la città intera. In ultimo la questione delle case popolari, i quartieri Aler gestiti al 100% da Regione Lombardia, si tratta di quartieri che creano degrado e la cui responsabilità è imputabile esclusivamente alla Regione.
Ma allora come mai, stando ai sondaggi d’oggi, Fontana continua ad essere in testa?
Apro un ragionamento: il voto politico in Lombardia premia la destra. Tuttavia, mi sembra che Fontana sia messo peggio rispetto al voto politico e già questo mostra la sua inadeguatezza e incapacità politica di governo. Se ci fosse un voto politico non ci sarebbe neppure partita, mentre invece oggi c’è uno spiraglio proprio perché a prescindere dalle preferenze a livello nazionale si ritiene Fontana inadeguato al comando regionale.
Non è curioso che le alleanze nel Lazio siano così diverse rispetto a quelle in Lombardia? Come mai questa eterogeneità?
In questi cinque anni di opposizione sui temi regionali noi abbiamo proposto progetti comuni sia con i 5Stelle, sia con Azione. Con quest’ultima, tra l’altro, abbiamo condiviso diverse battaglie contro le riforme e le proposte di Letizia Moratti. Di fatto per cinque anni abbiamo condiviso progetti comuni, proprio per questo ho sempre pensato e auspicato che si creasse una coalizione ampia. Ed è vero, per quanto riguarda la politica estera ed economica nazionale, rivendico di avere idee diverse rispetto ai 5Stelle, ma quando si parla di Regione Lombardia, io ho presentato progetti comuni con loro in tema di trasporti, salute e case popolari, ed ho fatto lo stesso con Azione. La vera incoerenza qui è di chi, dopo aver contestato a più riprese la legge Moratti, oggi la sostiene come candidata Presidente.
Com’è che si giunti al nome di Majorino? Non era possibile creare altre alleanze?
I tentativi per creare un’alleanza ci sono stati, ma il Terzo Polo ha deciso unilateralmente di sostenere Letizia Moratti. La stessa che abbiamo contrastato con loro in aula, una scelta – quella del Terzo Polo – che reputo totalmente incoerente. Majorino, invece, ha 20 anni in meno rispetto a Fontana e 25 rispetto a Letizia Moratti, ha quindi tutta l’energia necessaria e le idee per coniugare lo sviluppo Regionale con la riduzione delle diseguaglianze, che è poi la nostra visione da Pd riformista e aperto.
E rispetto al nome di Maran che cosa può dirmi?
Premetto che avrei preferito si fossero fatte le primarie, detto questo oggi siamo in campagna elettorale e facciamo squadra. Il come si strutturerà il Pd, ivi compreso il tema primarie, lo si affronterà in un secondo momento, sia al congresso, sia in Regione. La sfida che abbiamo di fronte oggi è quella di fare squadra per cambiare Regione Lombardia. Proprio ora mi sto dirigendo a un incontro con Maran e Majorino.

Capisco, affrontiamo ora il rapporto tra Pd Romano e Lombardo. Com’è?
Il motivo per cui avrei preferito fare le primarie, anche all’indomani delle politiche di qualche mese fa, è che qui si gioca una partita autonoma rispetto a quella in cui è stato, ed è tuttora, impegnato il Pd Nazionale. Qui in Lombardia c’è una grande coerenza rispetto ai temi politici messi in campo e le proposte risultano molto chiare, entrambi aspetti che invece non ho visto nell’ultima campagna elettorale nazionale. Per questo è importante che gli elettori si concentrino sul fatto che qui la partita è tra un reale cambiamento, che riguardi innanzitutto la casa, la salute e i trasporti e lo status quo che ha governato la Regione sin qui. In tutto questo il Pd nazionale c’entra poco. Questa campagna elettorale si gioca sulla credibilità delle persone e per quanto io e Majorino siamo due persone diverse all’interno dello stesso partito, sono contento di essere in squadra con lui, perché possiede quella credibilità forte di cui c’è bisogno e che è mancata ai nostri leader nazionali. Il 12 e 13 febbraio chi vota Pd esprime una preferenza per una progettualità costruita in anni di opposizione.
Tornando alle proposte in campo, qual è il cavallo di battaglia dell’agenda di Majorino?
Far si che la salute in Regione torni ad essere misurata sull’interesse pubblico e quindi sulla risposta erogata, ovvero sull’abbattimento delle liste d’attesa e sulle prestazioni commisurate al bisogno dei cittadini lombardi, tutto un altro film rispetto agli interessi particolari come quelli coltivati sin qui.
La sua proposta di punta invece qual è?
Ho combattuto per cinque anni affinché si raggiungesse la gratuità dei test non invasivi pre-natali, che sono un esame del sangue che evita, in molti casi, di fare amniocentesi e villocentesi. Si tratta di esami che costano in media tra i 500 e 1.200€. Si tratta di una risposta concreta per affrontare il tema della denatalità, che qui in Lombardia è più alta rispetto al resto d’Italia. Nei prossimi cinque anni punto all’ostetrica a domicilio, già presente in diversi Paesi europei.
Il difetto più grande della proposta di Moratti?
Ha prodotto una legge regionale che porta il suo nome e che conferma 28 anni di sanità incentrata sugli ospedali. Una legge che dimentica il ruolo dei medici di base e che, perlopiù, non si pone il problema di un cambio di rotta rispetto alle prestazioni sanitarie di cui i cittadini lombardi hanno davvero bisogno. Ad oggi la sanità lombarda non va bene e lei è stata l’ultima a metterci le mani.
di Claudio Dolci