Serena Masi, manager di un’importante multinazionale medicale, è determinata a portare in politica quelle competenze professionali sempre più necessarie a rispondere alle esigenze di una cittadinanza ormai stanca delle urne e di quei discorsi che poi capiscono solo pochi. Quella di Masi è una candidatura attenta al tema dell’educazione – eletta in qualità di Vicepresidente del Municipio 9 e Vicepresidente della commissione educazione e politiche educative –, della genitorialità e della questione di genere, che in politica, sia a sinistra sia a destra, resta un tabù di cui si discute molto in pubblico ma che a porte chiuse risulta assai difficile superare in modo efficace.
Perché l’ingresso nel mondo della politica?
Mi sono avvicinata alla politica attraverso il mio quartiere, frequentando il suo comitato di cittadini e diventando poi rappresentante genitoriale per l’unità educativa delle scuole dell’infanzia. Quello che desidero è restituire qualcosa alla città che mi ha accolto, provenendo io da Bologna, e da qui è nato il mio impegno civico. Ad oggi esiste una certa disaffezione da parte dei cittadini, ben testimoniata dai numeri di chi si reca alle urne, i quali, più che di discorsi di alto livello, magari sui valori etc., vorrebbero confrontarsi con qualcuno che li ascolti davvero e si prenda carico delle loro problematiche, comunicando lo stato di avanzamento dei temi salienti. Le persone conoscono molto bene le lentezze della macchina burocratica, vorrebbero che fosse più veloce, e penso che quello che manca oggi sia soprattutto la comunicazione e la condivisione delle informazioni.
Hai parlato di disaffezione politica da parte dei cittadini, quali pensi siano le cause?
Ce le racconta molto bene la storia della politica nazionale dove i governi non hanno stabilità e la vita media di un esecutivo è di un paio d’anni. Oggi il cittadino medio sa che l’unico governo che farà davvero qualcosa di concreto è quello tecnico. Questo perché il politico è percepito come lontano dalle necessità e dalle persone, il linguaggio stesso e i temi affrontati rendono questi due mondi molto distanti tra loro. A parte certi temi, l’impressione generale è che chi governerà farà giusto il minimo indispensabile e non cambierà più di tanto lo status quo.
E riguardo alla macchina burocratica invece, qual è il problema di fondo?
Penso che qui ci siano almeno due temi. La macchina burocratica è lenta perché lo sono anche certi formalismi e processi lunghi che ho visto io stessa: tanti uffici, altrettante persone coinvolte e un processo decisionale che risulta assai poco snello. L’altro aspetto, invece, riguarda la comunicazione. In città grandi, come Milano ad esempio, ci sono diverse priorità e quindi anche il solo atto di prendere una decisione su un tema importante per un quartiere, e quindi un Municipio, dev’essere contestualizzato in una visione globale, organica dell’agire politico, e questo crea delle lentezze che devono però essere spiegate al cittadino.
Abbiamo detto che i governi durano poco, ma anche i partiti non se la passano meglio.
Indubbiamente sì. C’è da chiedersi perché sia così difficile trovare un leader. Forse perché ce ne sono troppi o troppo pochi? Il Pd, ad esempio, è l’unico partito che incarna ancora una scuola politica, in cui le persone che vi afferiscono crescono, acquisiscono capacità e fanno esperienza di come funzioni la macchina amministrativa. Tuttavia, manca la capacità di capire quale possa essere la persona in grado di guidare la squadra di governo ed anche la capacità, quando serve, di fare un passo indietro. Quello che manca di più oggi, forse, è proprio lo spirito di collaborazione, nel senso che il leader è sì il frontman, ma dovrebbe essere in grado di dare spazio a tutte quelle persone che sono necessarie per raggiungere obiettivi comuni. Ad oggi, invece, prevale l’idea del leader padrone, mentre chi guida dovrebbe far risaltare di più il valore delle persone all’interno di un specifico progetto politico.
Com’è nato il progetto civico a sostegno della candidatura di Majorino?
È un fatto che le liste civiche abbiano sempre più importanza nel panorama politico italiano, questo perché le persone non si ritrovano più nelle logiche di partito, mentre l’esponente civico incarna ancora colui che proviene dalla vita reale e per questo gli si dà più fiducia. Il Patto civico per Majorino raduna attorno a sé diversi candidati in quota Sala. Si tratta di un progetto nato circa due anni fa, con la Lista Sala, e finalizzato a portare in politica persone che provengono dal mondo professionale: giovani, credibili e concreti, che vogliono mettersi in gioco e che hanno proseguito questo cammino anche dopo la vittoria di Beppe Sala. È indubbio che vi sia oggi la necessità di portare una visione diversa da quella dei partiti all’interno del mondo politico e in questo il civico offre un grande contributo.

Ma proprio perché il progetto civico nasce due anni fa come mai si è arrivati all’ultimo a indicare il nome di Majorino?
Le regionali non erano certo una novità e come lista civica abbiamo fatto sentire la nostra voce, facendo capire l’esigenza di fare delle primarie. Alle elezioni occorre arrivare preparati affinché non si ripeta lo stesso film alle future europee e di nuovo alle comunali. Le persone di valore all’interno del centro sinistra e del Pd ci sono e sono tante. La domanda è: perché non le si fa crescere? Faccio anche qui una riflessione, anche in qualità di donna. È mai possibile che la prima premier donna italiana sia Giorgia Meloni? Ovvio che lei sia espressione di una coalizione che femminista non è, ma sulla carta è comunque la prima donna ad aver raggiunto una posizione politica così importante. Perché non c’è spazio e non si fanno crescere certe donne? Penso ci sia ancora tantissimo da fare.
Hai trovato difficoltà a fare politica a Milano, in quanto donna?
No, ma c’è anche da dire che provengo da una multinazionale che su questi temi è molto avanti. Io ho due figli e prima di andare in maternità ho avuto una promozione ed aumento di stipendio da parte del mio capo, la quale ha dimostrato una grande sensibilità sul tema. Nel mondo politico, invece, ci sono ancora delle difficoltà, perché per essere percepiti come credibili occorre fare il doppio del lavoro rispetto ai colleghi maschi e nonostante tutto non è poi detto che lo sforzo produca un risultato tangibile. Sarebbe necessario individuare quelle personalità all’interno del partito che aiutino a maturare un cambio di mentalità, piuttosto che ritrovarsi, come aimè capita spesso, a parlare di questa tematica solo tra noi donne.
E riguardo a queste elezioni Regionali, qual è la proposta che vi differenzia di più dal Terzo Polo?
La sanità generale e quella territoriale. È un fatto che la leader del Terzo polo questi temi li abbia masticati e gestiti per molto tempo. Quello che noi proponiamo è una sanità più efficace e concreta, capace di rendere le case di comunità qualcosa di più e di diverso rispetto all’essere dei semplici contenitori vuoti. Potrebbero diventare degli hub multidisciplinari e si potrebbero aggiungere figure come quella dello psicologo di base e dell’infermiere di quartiere. Quest’ultima sarebbe già prevista dall’ultima riforma regionale, ma di fatto non è mai stata implementata, benché sia indispensabile per aiutare gli anziani. Poi c’è il tema delle scuole con il medico scolastico, anch’essa figura di cui si è a lungo parlato, ma che poi non è stata inserita.
Certo, ma come si fa a introdurre queste figure se a mancare sono i medici?
Una prima soluzione potrebbe essere quella di attirare, magari con dei bandi, i medici anche all’estero. Ma il punto qui è che Moratti fu assessora, e la Regione è l’ente più vicino ai vertici dello Stato, e per questo potrebbe fare lobbying per rivedere il test d’ingresso a medicina e gli stipendi dei medici in modo da rendere più attrattiva la loro figura professione. Il medico non può e non deve essere solo quello che scrive ricette, ma anche colui che fa le visite di primo livello, così può diventare davvero una figura diversa e attrattiva.
di Claudio Dolci