Cosima Buccoliero, dirigente penitenziario che ha lavorato al carcere di Bollate, al Beccaria e a quello di Opera, candidata come capolista del Partito Democratico, a Milano, ci racconta il suo ingresso nella corsa per le Regionali lombarde. Il suo è un profilo civico, di quel mondo di professionisti con una forte esperienza tecnica, che corre in soccorso di una politica oggi sempre più in difficoltà.
Come mai l’ingresso nel mondo politico?
Me l’ha chiesto Majorino stesso, che ho conosciuto quando era assessore ai servizi sociali, e di cui già allora condividevo il modo di pensare ed i valori. Quello attuale è poi un progetto di ampio respiro che mira a portare del rinnovamento in Regione Lombardia, la quale affronta da tempo un progressivo svilimento di settori e tematiche che mi stanno a cuore.
Ad esempio?
Le fragilità, intese come l’attenzione ai giovani, ai bambini e a quello smantellamento dei servizi che va in scena da anni. Si tratta di tematiche che osservo sia come cittadina di Milano, sia come mamma.
A proposito di fragilità, com’è la gestione delle carceri da parte della Regione?
Si assiste a un progressivo smantellamento, che poi riguarda tutta la Regione, del servizio sanitario pubblico, il quale ha a sua volta un riverbero sulle carceri. La sanità nelle carceri, infatti, è gestita dalla Regione, la quale dovrebbe avere l’obiettivo di trattare i detenuti al pari di qualunque altro cittadino, offrendo loro un servizio sanitario analogo a quello a quello erogato fuori dal penitenziario. Ma vista la mancanza generale di medici, l’effetto sulle carceri è che si creano situazioni difficili da gestire. Se manca lo specialista è complesso portare un detenuto all’esterno del carcere per farlo curare, poiché c’è tutto un iter da seguire, con diversi procedimenti e il coinvolgimento del magistrato di sorveglianza. Possono trascorrere anche intere settimane e nel frattempo il detenuto resta magari col suo mal di dente, perché l’organizzazione territoriale dell’Asl non prevede la presenza costante di uno specialista. Faccio un altro esempio, quando ero reggente nel carcere a Pavia per diversi giorni abbiamo dovuto fare a meno del medico, con detenuti affetti da problemi psichiatrici etc. Ed oggi si assiste sempre di più alla richiesta dei detenuti di supporto psicologico, che il contesto del carcere non fa altro che aggravare. Tutto questo poi incide a sua volta sulla gestione del carcere stesso, perché si lasciano tutte queste fragilità alla sola polizia penitenziaria, che dal canto suo non ha né le competenze, né le risorse per poter fare qualcosa di concreto.
Tornando al passaggio al mondo politico, quali sono stati gli aspetti, in positivo e in negativo, che ti hanno colpito maggiormente?
Ho trovato il Pd in una situazione difficile. Allo stesso tempo però ho trovato anche un grande senso di appartenenza e funzionalità dei circoli, che io stessa sto vivendo in prima persona, sia in città sia in provincia. E questa è una bella realtà, fatta di cittadinanza attiva e di partecipazione alla vita della città per discutere di temi e del municipio. Una bella sorpresa, che mi ha fatto toccare con mano la grande partecipazione dei cittadini.
Dal ventre del partito che impressione ti sei fatta della scelta di Majorino?
Le cose si potevano fare indubbiamente con più calma e più tempo, vero anche che tutta la sinistra vive oggi un momento di grande difficoltà. Tuttavia, penso che aver trovato il consenso attorno a una figura come quella di Majorino sia stata la leva per far scattare l’orgoglio di tanti militanti. Forse si poteva fare di più già anni fa, a partire dall’ultima sconfitta alle regionali, la quale ha determinato una mancata presenza sul territorio. Parlando con i cittadini lombardi c’è chi mi ha fatto notare che ci si vede solo durante le elezioni e questo è un fattore da tenere presente, perché a prescindere da come andrà questa tornata elettorale la nostra responsabilità è quella di restare in mezzo alla gente. Se vogliamo davvero cambiare la situazione occorre che il cammino da noi intrapreso sia continuo.
Parlando di territori, ci sono zone dov’è più difficile portare il messaggio di Majorino?
Esiste un moto di voci, abbastanza trasversale, che ho ritrovato in ogni mercato e circolo, che esprimono una certa contrarietà. Certo, in periferia, qualche giorno fa ad esempio ero a un mercato non centrale di Cinisello Balsamo, ho incontrato una popolazione anziana di residenti impegnata nel cambio generazionale e di nazionalità del quartiere, ed è evidente che vi siano alcune periferie che vanno più curate di altre. Occorre continuare ad ascoltare i bisogni delle persone.
E quali sono i temi che vorresti portare in Regione?
Il welfare, che è poi il tema centrale della campagna, poiché ne va della dignità delle persone. Non è possibile che le persone debbano continuare a riscontare così tanti problemi, io stessa mi ritrovo, come molti altri, nell’impossibilità di individuare un medico di famiglia che corrisponda alle nostre esigenze. Ad oggi abbiamo una famiglia divisa su tre medici di base. Esiste poi un problema legato alla necessità di ristrutturare il servizio socio-sanitario sul territorio. Penso ad esempio ai consultori, al sostegno alle famiglie, perché vediamo sempre di più situazioni di minori, di adolescenti, affetti da un malessere che poi si manifesta anche in ambiti davvero pericolosi. Occorre attivare un servizio psico-pedagogico nelle scuole, attuare un potenziamento dei consultori pubblici, che quasi non esistono più. Si tratta, in ambo i casi, di presidi che intervengono sulla prevenzione, perché poi non ci possiamo lamentare sempre del costo della sanità quando deve curare se poi non interveniamo sulla prevenzione del malessere. E questo è un tema che riguarda anche gli anziani, i quali aumentano e che non possono più trovare una risposta solo nelle RSA. Ci sono delle situazioni, come l’assistenza a domicilio, che devono essere strutturate sul territorio. Interventi che devono essere fatti affinché certe situazioni non esplodano.
Tra i temi della destra c’è sicuramente quello sicurezza. Che cosa si può fare per migliorarne la percezione?
Occorrono più operatori competenti sul territorio. Io, ad esempio, vivo in zona popolare, una traversa di Via Padova. E credo che ci sia più un problema di percezione, che effettivo, di insicurezza, mentre c’è un problema, questo sì, di convivenza. Che a sua volta deriva anche da differenze culturali e tante altre condizioni su cui occorre intervenire. Bisogna trovare degli strumenti per intervenire sul tessuto sociale, sulle condizioni per far interagire queste diverse culture. Non si può risolvere il problema solo pattugliando la zona o facendo intervenire la camionetta dell’esercito. Si potrebbe ritornare all’esperienza dell’educativa di strada, ai laboratori di quartiere. Due esperienze che diedero dei risultati, ma che poi vennero smantellate perché ritenute inutili. Si potrebbero inoltre valorizzare quelle che sono le singole esperienze dei territori, come quella del portierato e dei comitati.
Anche Letizia Moratti, a suo tempo, portò avanti il tema della sicurezza. Che cos’è che differenzia di più la candidatura di Moratti da quella di Majorino?
Moratti nella sua esperienza politica guarda molto al privato e per capirlo basta ricordare la riforma che fece sul tema scolastico. Majorino, invece, nella sua esperienza pratica ha potenziato molto i servizi sociali affrontando, in qualità di assessore, l’emergenza migranti con risultati molto positivi; ed anche il “piano freddo” nacque con Pisapia e Majorino. Penso inoltre che il tema di oggi sia che tipo di Regione vogliamo: le strade sicure per me non si realizzano solo con i controlli da parte della polizia, occorre conoscenza e ascolto delle necessità delle persone.
di Claudio Dolci