Storicamente, si ritiene che dovrebbe bastare un terzo della retribuzione di una famiglia di lavoratori per le spese necessarie alla casa, che sia per affitto o per via del mutuo. È una proporzione che ha accompagnato lo sviluppo immobiliare dal boom economico in poi, una sorta di patto implicito che ha permesso a tanti immigrati che hanno raggiunto Milano, Torino e le grandi città del Nord di costruirsi un futuro stabile nei nuovi quartieri creati nelle metropoli e nel loro hinterland. Oggi la situazione è radicalmente cambiata: è ben difficile acquistare o affittare casa impiegando solo un terzo dello stipendio. Non solamente per l’incremento dei costi delle case. Dobbiamo infatti aver chiaro che, oltre alla crescita dei valori immobiliari che riguarda tutte le metropoli di successo nel mondo, in Italia vi è da tempo una preoccupante stagnazione degli stipendi. Negli ultimi vent’anni nel nostro Paese c’è stata addirittura una contrazione dei salari, un dato che ci differenzia notevolmente dal resto d’Europa.
L’andamento del mercato immobiliare, unito alla crescita delle locazioni temporanee attraverso piattaforme come Airbnb e alla propensione di molte famiglie di studenti fuorisede ad investire sull’acquisto di una casa, ha spinto un significativo aumento della richiesta e dei costi degli appartamenti in città, specialmente per i tagli più ambiti che variano dai 30 ai 60 metri quadri.
In questo contesto vivere a Milano sta diventando complesso sia per le fasce deboli sia, negli ultimi anni, per la classe media che non ha avuto la possibilità di acquistare un immobile. Questa congiuntura rischia di impattare sullo sviluppo della città, trasformandola in un luogo per pochi, e anche di impoverire i suoi servizi. Milano fatica sempre di più a reperire lavoratori pubblici essenziali. Spesso anche i neoassunti cercano immediatamente trasferimenti verso luoghi dove il costo della vita sia nettamente inferiore e, addirittura, cosa mai successa in passato, i dipendenti valutano le dimissioni.
A questo punto la domanda sorge spontanea: in che modo è possibile intervenire per mitigare la situazione e provare a contrastare questo fenomeno? Tra le soluzioni che si possono mettere in campo voglio citarne due: una prima a livello statale che potrebbe dare sollievo in breve tempo a migliaia di famiglie attraverso un innovativo meccanismo di detrazioni fiscali per l’affitto; una seconda a livello comunale su cui stiamo lavorando a Palazzo Marino e che potrebbe permetterci, in breve tempo, di ridurre drasticamente il numero di case popolari sfitte e offrire un alloggio a migliaia di lavoratori a prezzo equo.
Partiamo da cosa dovrebbe fare lo Stato. Uno dei problemi di fondo è che l’Italia ha rinunciato da alcuni decenni ad avere una politica sulla casa. O meglio, c’è stata una grande politica sulla casa, nata grazie al piano Marshall, di cui va riconosciuta la paternità ad Amintore Fanfani. La ricostruzione dell’Italia bombardata e l’espansione delle città sono state impostate con intelligenza alla fine degli anni Quaranta con un piano che ha avuto una sua forza propulsiva fino agli anni Sessanta con la realizzazione di nuovi edifici popolari destinati ai lavoratori. Come è capitato spesso per idee nate in quel periodo, l’afflato ideale era fortissimo, così come lo erano gli interessi che ci giravano intorno, a volte opachi. Gestioni spesso inefficienti lasciavano spazio a fenomeni corruttivi anche diffusi. Si è inoltre spesso trattato di una crescita meramente quantitativa che ha contribuito pochi decenni dopo a far emergere serie problematiche sociali e gestionali. Ma la Seconda Repubblica, anziché riformare questo sistema, lo ha progressivamente smontato, definanziandolo e togliendo una visione nazionale. Oggi alla casa è dedicata una direzione minore all’interno del Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili, segno di una sproporzione impressionante rispetto alla centralità che ha il tema per ogni cittadino, lasciando quindi l’organizzazione dei servizi abitativi esclusivamente a Comuni e Regioni. L’esito è stato mandare in crisi il sistema di case popolari, soprattutto nelle aree metropolitane.
Chiuso questo breve excursus storico credo sia necessario affrontare il tema attualmente prioritario ovvero come destinare risorse, in tempi brevi, per sostenere chi abita a Milano con un contratto di locazione e deve far fronte, oltre al caro casa, anche agli aumenti inflattivi dovuti alla situazione internazionale?
Una soluzione che potrebbe essere realizzata facilmente è quella di trovare una formula di sgravio fiscale, fino a 250 euro al mese, per sostenere le spese dei lavoratori a redditi bassi e medi. Una misura destinata a chi guadagna almeno fino a 26mila euro annui e che risiede in zone ad alta tensione abitativa. Queste aree, da aggiornare periodicamente, sono distribuite geograficamente nel Paese e una misura di questo tipo consentirebbe a centinaia di migliaia di famiglie di migliorare sensibilmente il proprio tenore di vita e, alle aree urbane, di riuscire ad attrarre lavoratori per servizi essenziali che rischiano di rimanere sguarniti. Da una prima analisi l’investimento di circa 1 miliardo l’anno potrebbe supportare almeno 400mila/600mila famiglie e, immaginando un’emersione dal sommerso di almeno il 15 per cento dei contratti, si rifinanzierebbe nell’anno successivo coprendo una percentuale analoga della spesa.
In attesa che arrivi un intervento da parte del governo, a Palazzo Marino stiamo portando avanti, grazie al supporto del sindaco Beppe Sala e dell’amministrazione comunale, un progetto ambizioso che abbiamo chiamato “case ai lavoratori”. L’obiettivo è offrire in tempi brevi un appartamento con un canone di locazione agevolato a migliaia di neoassunti e giovani lavoratori utilizzando gli alloggi di edilizia popolare abbandonati da molti anni. Sono circa 15mila infatti le case popolari sfitte a Milano perché inagibili o in attesa di fondi per essere ristrutturate. Di queste 10mila sono gestite da Regione Lombardia attraverso Aler Milano mentre 5mila, di proprietà comunale, sono curate da MM Spa.
Negli ultimi mesi abbiamo selezionato 2.300 immobili vuoti da destinare a chi lavora nei servizi pubblici essenziali della città, ma anche nel privato, e ha un reddito annuo fino a 26mila euro lordi. Sarà lo stesso inquilino ad occuparsi della ristrutturazione tramite un finanziamento o attraverso il supporto della propria azienda. A fronte di questo investimento economico – per il quale è prevista una detrazione irpef pari al 50% del totale – il lavoratore godrà di un canone di locazione ridotto da cui sarà scomputata una parte del costo dei lavori. In questo modo potremo garantire, per questi immobili, contratti d’affitto sostenibili e non superiori ai 500 euro al mese in modo da incentivare i giovani lavoratori a rimanere in città e a costruire la loro vita a Milano.
di Pierfrancesco Maran